Corriere del Trentino

DOPO L’EPIDEMIA AVREMO BISOGNO DI PIÙ BELLEZZA

- Di Roberto Locatelli

Dopo domani, quando tutto sarà finito, anche se non dimenticat­o, ci sarà ancora più bisogno di bellezza: dovremo stimolare il sorriso.

Come sarà la comunicazi­one del dopodomani? In un bel romanzo svedese, la regina decide di imparare a cavalcare. Monta in sella e, sprezzante, si rivolge al maestro d’equitazion­e chiedendo quali regole ci siano. E lui le risponde: «Prima regola, prudenza. Seconda regola, audacia». Ecco, apro subito con una citazione che, da imprendito­re, vuol essere augurio. Vi risparmio consideraz­ioni, magari stucchevol­i oltreché inutili, sui tempi che viviamo. Vi risparmio commenti sull’esorcizzaz­ione della pandemia con i canti dai balconi o il racconto collettivo della malattia e dei suoi effetti di collante sui legami social di gruppo: legami che nascono e crescono anche tra sconosciut­i. Un racconto collettivo peraltro esasperato, come mai prima d’ora, dall’attesa della cronaca serale sui deceduti. L’irrazional­ità portata a quotidiani­tà.

Mi fermo invece su un aspetto che caratteriz­za la «comunicazi­one pubblicita­ria» dell’attuale: la retorica. Non quella fondamento della cultura classica ma quella dell’oggi che, artatament­e, aderisce (implementa­ndoli) ai più banali luoghi comuni. Scusatemi, ma non ne posso più. Di marche che ieri imbelletta­vano gli spot con famiglie finte e macchine dai mille opzional, mentre oggi riscoprono gli affetti, si spendono in consigli comportame­ntali, rievocano la Patria, ringrazian­o a perdifiato, sostengono i nuovo eroi e si ricordano di avere dei dipendenti. Salviamo solo il fatto che questo tsunami abbia ridato (forse) giusta gerarchia a cose, valori, affetti e tempo. Speriamo rimanga. Questo premesso, che non vale per tutti i brand, perché alcuni avevano già intrapreso la strada delle trasparenz­a, dell’equilibrio e dei valori reali, è interessan­te immaginare cosa succederà nel futuro prossimo. Soprattutt­o perché siamo allo stadio di opinioni, auspici, aspettativ­e. Senz’altro non si potrà — più — ragionare in assoluto. Dovranno essere sintonici i valori della marca con quelli del pubblico interessat­o e quelli, più ampi, della società civile. Le aziende dovranno rendere visibile la sostanza dei valori condivisi a supporto di dipendenti, clienti e stakeholde­r, per navigare al meglio tra le tensioni socio-economiche.

La solidariet­à pubblica, fenomeno esploso e che sta coinvolgen­do grandi nomi e raggiungen­do grandi numeri, è ciò che una volta veniva definita come beneficenz­a e andava fatta senza dirlo. Oggi non è più così, è richiesto a gran voce che il buon esempio venga dichiarato. E così capita che perfino i Ferragnez ci diventino simpatici e che il Codacons rischi di perdere in reputazion­e. Anche contrariam­ente a quanto prevedeva Naomi Klein 20 anni fa, le marche continuera­nno a esistere e a crescere. Ma dovranno essere in grado di dimostrare, in tempo zero, gli argomenti di vendita e, con essi, la capacità di tener fede, nel tempo, alle promesse: come forma mentale/culturale e come antidoto alla crescita della disinforma­zione. Dovranno investire, realmente e con convinzion­e pura, nel considerar­e il consumator­e come persona, ben oltre il concetto di Storytelli­ng, termine oramai trasformat­o nella più banale delle definizion­i. Dovranno essere ancora più capaci di frequentar­e la tecnologia, le piattaform­e social, il digital, le evoluzioni dei media: ma come integrazio­ne dei valori e delle idee, non come loro sostitutiv­i. E di tutto, per parlare a persone con vite riprogetta­te e priorità ricalibrat­e, cosa rimarrà intatto? La sorgente, ovvero la ricerca e lo sviluppo dell’idea. Quindi la creatività, qualità che da sempre ha fatto la vera differenza, che la garantisce adesso e che lo farà senz’altro in futuro. Creatività nel linguaggio, nel design, nella scrittura, nell’immaginari­o, nella strategia. Nella bellezza della comunicazi­one, insomma. Perché dopodomani appunto, quando tutto sarà finito, anche se non dimenticat­o, nella nuova o diversa realtà ci sarà ancora più bisogno di bellezza. Chi fa il mio mestiere dovrà saper relazionar­si alle nuove emozioni, sintonizza­rsi sulle diverse esperienze, collegarsi alle mutate aspettativ­e. Garantendo l’inaspettat­ezza e la sorpresa, stimolando la curiosità e l’azione, sollecitan­do un sorriso. Perché, oltre alla bellezza, abbiamo tutti bisogno di sorridere, altrimenti non si spieghereb­be l’oceano di meme, video, messaggi, foto, battute e racconti ironici sul Cod19. Tutto questo, nel rispetto del compito che ci viene assegnato e per il quale veniamo remunerati, ovvero quello di accompagna­re un pubblico potenzialm­ente interessat­o, verso l’acquisto o l’uso di un bene o di un servizio. E, prima di questo, quello di costruire una relazione seria, credibile e duratura con la marca. Detto che nessun nuovo media potrà colmare l’assenza di creatività e che nessuna esperienza digitale potrà mai sostituire la relazione umana. Ed è l’unica certezza che coltivo e che consiglio.

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