DOPO L’EPIDEMIA AVREMO BISOGNO DI PIÙ BELLEZZA
Dopo domani, quando tutto sarà finito, anche se non dimenticato, ci sarà ancora più bisogno di bellezza: dovremo stimolare il sorriso.
Come sarà la comunicazione del dopodomani? In un bel romanzo svedese, la regina decide di imparare a cavalcare. Monta in sella e, sprezzante, si rivolge al maestro d’equitazione chiedendo quali regole ci siano. E lui le risponde: «Prima regola, prudenza. Seconda regola, audacia». Ecco, apro subito con una citazione che, da imprenditore, vuol essere augurio. Vi risparmio considerazioni, magari stucchevoli oltreché inutili, sui tempi che viviamo. Vi risparmio commenti sull’esorcizzazione della pandemia con i canti dai balconi o il racconto collettivo della malattia e dei suoi effetti di collante sui legami social di gruppo: legami che nascono e crescono anche tra sconosciuti. Un racconto collettivo peraltro esasperato, come mai prima d’ora, dall’attesa della cronaca serale sui deceduti. L’irrazionalità portata a quotidianità.
Mi fermo invece su un aspetto che caratterizza la «comunicazione pubblicitaria» dell’attuale: la retorica. Non quella fondamento della cultura classica ma quella dell’oggi che, artatamente, aderisce (implementandoli) ai più banali luoghi comuni. Scusatemi, ma non ne posso più. Di marche che ieri imbellettavano gli spot con famiglie finte e macchine dai mille opzional, mentre oggi riscoprono gli affetti, si spendono in consigli comportamentali, rievocano la Patria, ringraziano a perdifiato, sostengono i nuovo eroi e si ricordano di avere dei dipendenti. Salviamo solo il fatto che questo tsunami abbia ridato (forse) giusta gerarchia a cose, valori, affetti e tempo. Speriamo rimanga. Questo premesso, che non vale per tutti i brand, perché alcuni avevano già intrapreso la strada delle trasparenza, dell’equilibrio e dei valori reali, è interessante immaginare cosa succederà nel futuro prossimo. Soprattutto perché siamo allo stadio di opinioni, auspici, aspettative. Senz’altro non si potrà — più — ragionare in assoluto. Dovranno essere sintonici i valori della marca con quelli del pubblico interessato e quelli, più ampi, della società civile. Le aziende dovranno rendere visibile la sostanza dei valori condivisi a supporto di dipendenti, clienti e stakeholder, per navigare al meglio tra le tensioni socio-economiche.
La solidarietà pubblica, fenomeno esploso e che sta coinvolgendo grandi nomi e raggiungendo grandi numeri, è ciò che una volta veniva definita come beneficenza e andava fatta senza dirlo. Oggi non è più così, è richiesto a gran voce che il buon esempio venga dichiarato. E così capita che perfino i Ferragnez ci diventino simpatici e che il Codacons rischi di perdere in reputazione. Anche contrariamente a quanto prevedeva Naomi Klein 20 anni fa, le marche continueranno a esistere e a crescere. Ma dovranno essere in grado di dimostrare, in tempo zero, gli argomenti di vendita e, con essi, la capacità di tener fede, nel tempo, alle promesse: come forma mentale/culturale e come antidoto alla crescita della disinformazione. Dovranno investire, realmente e con convinzione pura, nel considerare il consumatore come persona, ben oltre il concetto di Storytelling, termine oramai trasformato nella più banale delle definizioni. Dovranno essere ancora più capaci di frequentare la tecnologia, le piattaforme social, il digital, le evoluzioni dei media: ma come integrazione dei valori e delle idee, non come loro sostitutivi. E di tutto, per parlare a persone con vite riprogettate e priorità ricalibrate, cosa rimarrà intatto? La sorgente, ovvero la ricerca e lo sviluppo dell’idea. Quindi la creatività, qualità che da sempre ha fatto la vera differenza, che la garantisce adesso e che lo farà senz’altro in futuro. Creatività nel linguaggio, nel design, nella scrittura, nell’immaginario, nella strategia. Nella bellezza della comunicazione, insomma. Perché dopodomani appunto, quando tutto sarà finito, anche se non dimenticato, nella nuova o diversa realtà ci sarà ancora più bisogno di bellezza. Chi fa il mio mestiere dovrà saper relazionarsi alle nuove emozioni, sintonizzarsi sulle diverse esperienze, collegarsi alle mutate aspettative. Garantendo l’inaspettatezza e la sorpresa, stimolando la curiosità e l’azione, sollecitando un sorriso. Perché, oltre alla bellezza, abbiamo tutti bisogno di sorridere, altrimenti non si spiegherebbe l’oceano di meme, video, messaggi, foto, battute e racconti ironici sul Cod19. Tutto questo, nel rispetto del compito che ci viene assegnato e per il quale veniamo remunerati, ovvero quello di accompagnare un pubblico potenzialmente interessato, verso l’acquisto o l’uso di un bene o di un servizio. E, prima di questo, quello di costruire una relazione seria, credibile e duratura con la marca. Detto che nessun nuovo media potrà colmare l’assenza di creatività e che nessuna esperienza digitale potrà mai sostituire la relazione umana. Ed è l’unica certezza che coltivo e che consiglio.