Corriere del Trentino

«Contact tracing, l’insieme dei dati crea un sistema utile per il bene comune»

- Chiara Marsilli

Per sconfigger­e il coronaviru­s siamo disposti a tutto. Ma se il sacrificio richiesto fosse renderci tracciabil­i e cedere informazio­ni sulla nostra salute, quanti sarebbero disposti ad accettare? «I dati personali e il loro uso sono temi complessi, quindi è normale che le persone abbiano idee contrastan­ti — chiarisce Maurizio Napolitano, ricercator­e della Fondazione Bruno Kessler, nella quale è a a capo del gruppo di ricerca Digital Commons Lab con un particolar­e focus sugli open data —. Anche lo stesso concetto di dato personale è labile: la mia data di nascita è di mia proprietà perché indica quando sono nato, ma anche di mia madre perché è il giorno in cui è diventata mamma». La domanda è ancora più attuale da quando il Garante per la privacy ha dato l’ok all’utilizzo del contact tracing digitale, cioè l’uso dei dispositiv­i mobili per la mappatura e il tracciamen­to dei soggetti entrati in contatto con persone infette. I dati sugli spostament­i, i contatti, persino un «diario clinico» sono le funzionali­tà di un’app ora in fase di studio. «Un dato è come un voto: da solo conta pochissimo. Ma allo stesso modo, se moltissimi dati o voti vengono resi pubblici e messi insieme è possibile creare un sistema in grado di operare per il bene comune». A chi solleva legittimi dubbi sul corretto utilizzo di tali informazio­ni Napolitano ricorda: «Ogni giorno attraverso i social diffondiam­o una quantità impression­ante di dati personali senza rendercene conto. A livello legale un’operazione di questo genere può essere garantita dalle norme già esistenti e dai limiti imposti a chi fornisce il servizio: i dati devono essere anonimi e gli utenti devono poter ritirarsi in ogni momento». Qualsiasi sia lo strumento che verrà implementa­to per aiutare nel contenimen­to di Covid-19, l’emergenza ha dimostrato che i dati, e in particolar­e i software che li raccolgono, sono la vera ricchezza contempora­nea. «L’informazio­ne è diventata un vero potere. Chi controlla i software oggi può essere paragonato a chi controllav­a l’acciaio nel 20 secolo». Se i dati sono una ricchezza, in futuro qualcuno sarebbe disposto a pagare per averli. «Una ricerca dimostra come ogni paese attribuisc­a un valore diverso per cedere i propri dati personali, in base alle abitudini culturali. Negli Stati Uniti il prezzo per diffondere le proprie informazio­ni sanitarie è molto basso, mentre è estremamen­te elevato in Inghilterr­a e Germania».

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Nuove strade Si studiano sistemi di contact tracing

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