Gazzi: «Siamo seduti su una bomba sociale»
Il monito di Gazzi (Ordine nazionale assistenti sociali) «Servizi sociali e sanitari siano sempre più integrati E si programmi un rinforzo del reddito di cittadinanza»
«Siamo seduti su una bomba sociale e mentre fronteggiamo la drammaticità della crisi sanitaria dobbiamo far sì che nessuno sia dimenticato». Lo afferma il presidente nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali, Gianmario Gazzi. «Servizi sociali e sanitari siano sempre più integrati — continua — e serve un rinforzo del reddito di cittadinanza».
TRENTO Ci saranno donne, uomini, famiglie già seguiti dai servizi. Ma rispetto a un prima, che pare lontano, in quel dopo saranno ulteriormente scossi da settimane di isolamento. Poi ci sarà chi, fino a pochi mesi fa, non s’era mai trovato nell’umiliazione di un conto da saldare alla cassa di un supermercato. Umanità che si scopriranno fragili. «E nessuno deve restare indietro», avvisa Gianmario Gazzi, presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali. Trentino, presidente della casa di riposo «Cesare Benedetti» di Mori, Gazzi scosta dagli occhi delle istituzioni quel velo che, nella concitazione dell’emergenza, offusca l’entità dei bisogni prossimi a deflagrare. «Siamo seduti su una bomba sociale e mentre fronteggiamo la drammaticità della crisi sanitaria dobbiamo far sì che nessuno sia dimenticato — dice — E che si costruiscano le condizioni perché la bomba non esploda». Di qui l’elaborazione di un’agenda sociale. «Serve un allargamento del Reddito di Cittadinanza a chi ha perso qualsiasi reddito e non può usufruire di ammortizzatori. Servono nuove assunzioni e la stabilizzazione degli assistenti sociali precari. Bisogna anticipare oggi il finanziamento dei Fondi Povertà, Politiche sociali, non-autosufficienza». Non solo: Gazzi suggerisce «l’integrazione tra ospedale e territorio e un maggior investimento nel comparto sociale per garantire dimissioni protette e affrontare il problema della salute nel suo complesso».
«Nessuno resti indietro», quindi.
«Oggi guardiamo, giustamente, l’emergenza sanitaria dentro gli ospedali, ma ciò che accade fuori non è da meno. Pensiamo alle situazioni già seguite: minorenni, persone con disabilità, con problemi di salute mentale, intere famiglie. Ora quelle persone sono ascoltate da remoto; si garantiscono servizi in continuità ma con molte più limitazioni. L’isolamento crea maggiori tensioni, maggiori problemi e gli assistenti sociali si stanno inventando soluzioni creative per mantenere il contatto, telefonico, via chat, sfruttando il vicinato. Ci sentiamo impotenti e le strutture sono sovraccaricate di uno sforzo sia umano sia organizzativo».
Ha chiesto un programma sociale che contenga interventi immediati e ha fatto a sua volta delle proposte. Quali sono?
«Noi partiamo dal presupposto che il combinato, terribile, di una emergenza sanitaria e di una crisi economica e lavorativa non può che creare fortissima tensione sociale. Nasceranno inevitabilmente nuovi bisogni: oltre a quelli già certificati se ne aggiungeranno degli altri. Le situazioni già in carico ai servizi rischiano di diventare più complesse se isolate e, dall’altra, si aggiunge una parte di popolazione che a seguito della congiuntura avrà nuovi bisogni: di sostegno al reddito, ma anche di accudimento. Anziani rimasti soli, luoghi di aggregazione come le colonie per i figli che non saranno accessibili. La comunità deve essere in grado di elaborare delle risposte».
Parla di sostegno al reddito. In che modo?
«In una situazione di emergenza hanno un senso i buoni spesa, serviva uno strumento veloce. Ma nei prossimi mesi non sarà sufficiente e dobbiamo ragionare su interventi mirati che possano ampliare il reddito di cittadinanza in modo da non avere troppe condizionalità per assistere le famiglie in base alla composizione: uguaglianza ed equità sono due cose diverse. Nella sanità esistono i livelli essenziali di assistenza, nel sociale no. In tutto il Paese abbiamo un sistema di welfare frammentato, disintegrato e temo l’arrivo in massa di richieste. Ma abbiamo tempo di prepararci: non è molto, quindi è opportuno farlo subito».
Cosa ci aspetta dopo? Si dovrà riscrivere i servizi tenendo conto di nuove esigenze a domicilio per chi ha patologie croniche o per chi è in isolamento?
«Abbiamo davanti un lungo periodo che impone di ripensare il modello di intervento domiciliare. Se dobbiamo evitare assembramenti faccio fatica a pensare di erogare servizi nei centri diurni. Si dovrà allora prediligere il rapporto “uno a uno” e, quindi, servono fondi e operatori. Non esistono risposte a costo zero. In Italia spendiamo 29 miliardi l’anno di welfare territoriale. Ma solo 7 miliardi sono destinati ai servizi, il resto sono trasferimenti monetari. Della serie: ti do l’invalidità e poi ti paghi la badante. Un meccanismo che, tra l’altro, incentiva il lavoro nero. Ciò che manca è l’integrazione sociale e sanitaria sui territori, superando l’approccio ospedalocentrico. È chiaro che il tema del futuro non è avere solo più medici a casa, ma più assistenti sociali, più educatori, più infermieri, più oss».
Necessità Oggi guardiamo l’emergenza sanitaria dentro gli ospedali, ma ciò che accade fuori non è da meno Fratture Il mix di una crisi sanitaria e di una crisi economica non può che creare tensione sociale Risposte Ci saranno nuovi bisogni che andranno corrisposti, dobbiamo agire sin da ora e prepararci