«La gente ci aspetta: molti vogliono solo parlare»
TRENTO Ci sono le strade deserte «che mettono tristezza». Ma non solo. In paesi silenziosi da settimane, il bisogno di un sorriso, di uno scambio di battute diventa spesso l’unico appiglio. Anche se poi si consuma in un attimo. Lo racconta Chiara (il nome è di fantasia), postina impiegata in un comune di valle. Che in questi giorni di necessarie distanze si trova a essere spesso la protagonista delle attese delle persone sole, spesso anziane. «C’è chi appena ci vede arrivare — spiega — scende le scale e apre la porta. Ma noi dobbiamo tenerci a distanza e quindi ci rifugiamo in macchina». Scene di un mondo rivoluzionato. E di un lavoro anch’esso mutato, tra pranzi in auto e inconvenienti da affrontare.
Perché anche i postini non si sono fermati. E anche se «le lettere sono molto diminuite» racconta Chiara, ogni giorno ci sono giornali da consegnare. Raccomandate da recapitare. E pacchi legati all’aumento degli acquisti online. «In realtà — ammette — ne aspettavo anche di più». Un lavoro «adattato» al coronavirus, quello del postino. Come tutte le attività che sono proseguite anche in settimane di serrata generale. «Alla mattina — dice Chiara — entriamo in ufficio scaglionati.
Ci organizziamo in turni di due persone che iniziano ogni ora e mezza, evitando di far entrare in ufficio persone con postazioni vicine». In questo modo si garantisce la distanza di sicurezza e si lavora più tranquilli. Anche se l’entrata a fasce orarie trascina il lavoro in avanti fino a metà pomeriggio. E le protezioni? «Ogni mattina — risponde la postina — troviamo guanti e mascherine. Timbriamo e li indossiamo. Poi iniziamo a lavorare». E la prima fase dell’attività non è cambiata. Anche se è meno intensa. A non essere più la stessa è invece la parte del lavoro che porta i postini in giro
per i paesi. Che li porta a contatto con la gente: un contatto oggi cancellato, congelato. «Con le nuove misure — prosegue Chiara — non possiamo più far firmare le raccomandate». Come si fa allora? «Suoniamo e comunichiamo alla persona che c’è una raccomandata. Se dà l’autorizzazione, la firmiamo noi con un codice specifico che ci è stato fornito e la lasciamo nella bussola. Il destinatario può prenderla quando noi siamo già ripartiti in macchina». Ed è qui che nascono gli imprevisti: c’è chi, al primo squillo del postino, si fionda alla porta. O chi chiede più volte se deve scendere a firmare, se deve andare in Posta. «Sono soprattutto gli anziani soli a chiedere — ammette Chiara —. Aspettano qualcuno per scambiare due parole. Del resto, di solito con il postino c’è un rapporto di amicizia».
Nessuna chiacchierata, dunque. E neppure una fermata al bar per un caffè (e una puntatina al bagno). Tutto, in questa fase, è solitario. Anche il pranzo: «Dobbiamo portarci qualcosa da casa e mangiamo in macchina». In un parcheggio, guardando la strada deserta. «Non ci sono macchine — conclude Chiara — non c’è gente. Una sensazione davvero strana. E anche un po’ triste».