L’eleganza dei cedri del Libano che salutano i viaggiatori dalla fontana delle rane di Bolzano
Uno dei più vecchi esemplari di cedro del Libano che io conosca, è quello che si presenta al viaggiatore appena uscito dalla stazione di Bolzano: ombreggia la fontana delle rane. Ha un centinaio d’anni: ha visto incedere un imperatore, quasi certamente un dittatore, soldati di vari eserciti e innumerevoli altri passanti meno impegnativi.
I cedri del Libano, alberi molto decorativi e molto grandi, crescono però da tempo nei giardini di tutto il mondo. Per dare il meglio di sé vogliono grandi spazi, parchi estesi.
Hanno avuto anche un ruolo importante nell’evoluzione della civiltà: gli archeologi sostengono che diecimila anni fa enormi foreste di cedri si estendevano nelle zone mediterranee verso la Mesopotamia fino in Turchia e oltre. Oggi, nelle zone d’origine, sopravvivono poche centinaia di esemplari — dove passa l’uomo, si sa, troppo spesso si forma il deserto. Già nell’epopea di Gilgamesh, poema sumerico di ottomila anni fa, si parla della distruzione di boschi sacri di cedri. L’imperatore Adriano, circa duecento anni prima della nostra
Hanno visto incedere un imperatore, soldati di vari eserciti e persino (forse) un dittatore
era, tentò di salvaguardare i boschi dallo sfruttamento rapinoso, e ne impose la riforestazione nelle proprietà imperiali. Quando alberi o animali stanno per sparire dalla faccia della Terra, gli uomini dedicano loro inni, poesie, dipinti, letteratura: il Libano ha un cedro sulla sua bandiera, per i cittadini di quel Paese simbolo d’immortalità.
È un albero massiccio, raggiunge in pochi decenni dai quaranta ai sessanta metri di altezza. Il legno, gradevolmente profumato, è la causa della sua sparizione progressiva: nei tempi antichi era un bene di lusso, destinato ai palazzi reali e ai templi di tutto il Medio Oriente. La resina, che ancora oggi arricchisce i profumi, in Egitto era ricercata per l’imbalsamazione.
Gli abiti e i tessuti conservati in un armadio o in una cassapanca di legno di cedro non sono attaccati dalle tarme — le proprietà insetticide e disinfettanti del legno lo rendono ancora oggi legname prezioso.
Conosciamo altre due specie (i botanici sostengono che almeno una delle due sia una sub specie) di cedro, il Cedrus atlantica e il Cedrus deodara: di quest’ultimo la varietà con aghi cilestrini, la glauca, è la più «gettonata».
Tutti e tre appartengono alla famiglia delle Pinaceae. Non fanno frutti ma strobili, cioè pigne, che diventano legnose nel giro di due anni. Aprendosi, liberano migliaia di semi che il vento disperde. «Fioriscono» in autunno e il polline, odiato da chi parcheggia automobili sotto i suoi rami, copre rami e terreno da una sottile polvere giallo oro.
Parcheggiare veicoli sotto i cedri è da temerari: i grandi rami orizzontali, che spesso pesano qualche tonnellata, hanno la particolarità di crollare a terra ogni tanto, inspiegabilmente, non per il vento, e neanche per la neve.
Una vendetta degli spiriti silvani.