Dodici medici siriani «Pronti a venire ad Ala»
TRENTO Oggi nel mondo esistono due tipi di guerre. Da una parte, quella dei popoli uniti da scienza e mascherine per sconfiggere la pandemia. Dall’altra, quella degli uomini in lotta con se stessi, tra bombe, protesi e profughi. Sono fronti che sembrano destinati a non incontrarsi mai e proprio per questo, quando lo fanno, lasciano a bocca aperta. Come la lettera partita il 14 aprile per Trento da Gaziantep, sul confine turco-siriano. Non si tratta di un grido d’aiuto, bensì della messa a disposizione di 12 medici siriani per supportare i colleghi trentini nella lotta al virus.
«Quando abbiamo visto che molti Paesi stranieri stavano inviando personale sanitario in Italia — spiega il radiologo Hassan Mughrabieh, a capo dei volontari — abbiamo fatto due calcoli. Qui alla frontiera la situazione è grave, ma stabile. Ci sono nove unità di terapia intensiva per quattro milioni di persone. Però il virus non ci ha raggiunti. Così abbiamo pensato di restituire almeno una piccola parte della solidarietà ricevuta offrendo il nostro aiuto all’Italia». L’idea è partita da una telefonata con l’imam Aboulkheir Breigheche, medico a sua volta, e si è andata concretizzando grazie al chirurgo Nabil Al Mureden, laureatosi a Bologna e già primario a Budrio. Al Mureden presiede la sezione italiana di Sema, l’associazione internazionale dei medici siriani espatriati, e in questi mesi si trova alla frontiera turco-siriana per coordinare la gestione di ospedali e dispensari e la formazione di medici e infermieri locali.
Sempre in contatto con la famiglia e i colleghi in Italia, ha avuto modo di confrontarsi sull’emergenza con un vecchio conoscente, Roberto Franchini, cofondatore della Stella d’Oro, l’associazione per il primo soccorso della Bassa Vallagarina, da anni impegnato nella riqualificazione dell’ospedale di Ala. A partire da domani, il terzo piano della struttura ospiterà undici pazienti per un periodo di quarantena prima di entrare nella Rsa di destinazione. Con la fine dell’emergenza verrà invece adibito a residenza sanitaria per venti anziani, come concordato tra i Comuni lagarini e la Provincia nel 2013. Franchini precisa: «In questo scenario, l’arrivo dei medici siriani ad Ala sarebbe determinante, perché permetterebbe di portare l’ospedale a una capienza di 60 posti letto che, a pandemia finita, potrebbero essere interamente riconvertiti in lungo degenza, con un significativo incremento delle possibilità occupazionali nella zona». E mentre lui chiede che la provincia si esprima sul punto, i volontari di Gaziantep aspettano che l’ambasciata italiana in Turchia, contattata un mese fa, dia loro risposta sulla fattibilità del progetto. «Siamo siriani — concludono — e a tenerci vivi è la speranza che un giorno, fra dieci o vent’anni, potremmo tornare a casa, in pace, e ricostruire il sistema sanitario del nostro Paese. Ma siamo anche medici. E non dimentichiamo che nel frattempo il nostro dovere è aiutare qualunque persona o popolo abbia bisogno».