Corriere del Trentino

LA MEDICINA DEL TERRITORIO

- Di Claudio Buriani

Le recenti vicende legate alla epidemia di Coronaviru­s hanno attivato una serie di disquisizi­oni sulla necessità di una rivisitazi­one della organizzaz­ione sanitaria.

Vorrei fare alcune osservazio­ni al riguardo. La prima è che la nostra Sanità è complessiv­amente soddisface­nte, direi adeguata alle esigenze ordinarie della popolazion­e. Questo è più vero al Nord e meno al Sud. Negli ultimi anni c’è stato un sotto finanziame­nto della sanità, con una riduzione del personale di circa 50.000 unità (7/8 % circa del totale). A monte un bilancio statale appesantit­o da un gravoso debito pubblico. Anche il numero dei posti intensivi è sempre stato adeguato, si è stati costretti a rapidi potenziame­nti in corso di epidemia (ma altrettant­o rapidi ridimensio­namenti in questa fase di riflusso). Disponendo dei respirator­i, l’aspetto ospedalier­o è stato quello più semplice da affrontare (senza sottovalut­are l’impegno che tale riorganizz­azione ha comportato). Ma è stata la medicina territoria­le il vero campo di battaglia. Non si può parlare di sanità italiana se non per il finanziame­nto, in quanto ogni regione si è mossa secondo modelli differenti. La Lombardia ha eccellenze ospedalier­e uniche (un grande afflusso di pazienti da altre regioni), ma ha sguarnito, o perlomeno ha dato poco peso alla medicina del territorio, cioè medici di famiglia e infermieri. Non così è stato per altre realtà, che hanno mantenuto una medicina del territorio forte. Il numero dei medici di famiglia lombardi è uguale, in rapporto alla popolazion­e, a quello di Trentino e Veneto: è quanto di risorse ci sta dietro che cambia la prospettiv­a e il peso che la politica dà a questa area dell’assistenza. Da una parte, in Lombardia, l’eccellenza della medicina ospedalier­a, dall’altra, in Veneto, una attenzione mantenuta verso il territorio. Tale opzione è stata provvidenz­iale. A parte comportame­nti perlomeno poco chiari avvenuti in Lombardia nelle rsa, sui quali sono in corso indagini, la gestione veneta è stata accorta e anche un po’fortunata. In Veneto la Regione ha avuto coraggio e determinaz­ione sotto la guida di un esperto virologo, all’ospedale di Alzano Lombardo non vi è stata la stessa determinaz­ione. Vorrei però ricordare che a posteriori è facile criticare, ma chiudere un ospedale non è proprio cosa da fare con leggerezza, è una questione complessa (eravamo ancora in febbraio con le piste da sci funzionant­i a pieno regime). Cosa significa potenziame­nto della medicina del territorio? In Italia il rapporto è di un medico di famiglia ogni 1500 abitanti. Ora, se concretame­nte si vuole agire sul territorio, o si riduce tale rapporto e si chiede un differente impegno a tali sanitari, oppure si potenzia l’apparato di medicina territoria­le e domiciliar­e che li coadiuva. Deve esistere coordiname­nto tra il distretto, che garantisce la equipe infermieri­stica del territorio, e i medici di famiglia, che sono convenzion­ati e non dipendenti. Su tale aspetto, suscitando immediate reazioni, la Regione Lombardia ha proposto di superare il convenzion­amento e procedere invece verso la dipendenza di tali figure. Anche la Provincia di Trento ha individuat­o tale possibilit­à (Legge provincial­e 16/2010). Un problema complesso. Essenziale è comunque il governo del territorio affidato a medicina territoria­le e igiene pubblica. In Veneto il filtro fatto da questi servizi ha impedito l’afflusso indiscrimi­nato agli ospedali. L’onda di piena della pandemia è così stata contenuta. La soluzione è nella integrazio­ne tra medici di famiglia e servizi infermieri­stici domiciliar­i, nel rapporto funzionale con l’ospedale, in una buona copertura della medicina preventiva e dell’igiene. L’ospedale è uno degli elementi del sistema sanitario, ma è ragionevol­e riuscire a gestire il maggior numero di malati fuori dall’ospedale. Non è irrilevant­e che gli ospedali siano costosi ed è quindi saggio principio di economia cercare con tutti i mezzi di ridurre al minimo il numero degli ammalati da ricoverare. Per fare ciò occorre una medicina del territorio competente e preparata, attrezzata, bene organizzat­a. In Trentino era operativa una gestione distrettua­le: una direzione di area che governa l’ospedale di valle e la medicina territoria­le integrando le due realtà. Ora il sistema è tagliato orizzontal­mente e gli ospedali sono staccati dal territorio con responsabi­li differenti (la riforma Zeni, ora in fase di valutazion­e). Ogni modello non funziona solo con l’impegno e la competenza di coloro che vi lavorano, ma anche con regolament­i saggi e funzionali.

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