LA MEDICINA DEL TERRITORIO
Le recenti vicende legate alla epidemia di Coronavirus hanno attivato una serie di disquisizioni sulla necessità di una rivisitazione della organizzazione sanitaria.
Vorrei fare alcune osservazioni al riguardo. La prima è che la nostra Sanità è complessivamente soddisfacente, direi adeguata alle esigenze ordinarie della popolazione. Questo è più vero al Nord e meno al Sud. Negli ultimi anni c’è stato un sotto finanziamento della sanità, con una riduzione del personale di circa 50.000 unità (7/8 % circa del totale). A monte un bilancio statale appesantito da un gravoso debito pubblico. Anche il numero dei posti intensivi è sempre stato adeguato, si è stati costretti a rapidi potenziamenti in corso di epidemia (ma altrettanto rapidi ridimensionamenti in questa fase di riflusso). Disponendo dei respiratori, l’aspetto ospedaliero è stato quello più semplice da affrontare (senza sottovalutare l’impegno che tale riorganizzazione ha comportato). Ma è stata la medicina territoriale il vero campo di battaglia. Non si può parlare di sanità italiana se non per il finanziamento, in quanto ogni regione si è mossa secondo modelli differenti. La Lombardia ha eccellenze ospedaliere uniche (un grande afflusso di pazienti da altre regioni), ma ha sguarnito, o perlomeno ha dato poco peso alla medicina del territorio, cioè medici di famiglia e infermieri. Non così è stato per altre realtà, che hanno mantenuto una medicina del territorio forte. Il numero dei medici di famiglia lombardi è uguale, in rapporto alla popolazione, a quello di Trentino e Veneto: è quanto di risorse ci sta dietro che cambia la prospettiva e il peso che la politica dà a questa area dell’assistenza. Da una parte, in Lombardia, l’eccellenza della medicina ospedaliera, dall’altra, in Veneto, una attenzione mantenuta verso il territorio. Tale opzione è stata provvidenziale. A parte comportamenti perlomeno poco chiari avvenuti in Lombardia nelle rsa, sui quali sono in corso indagini, la gestione veneta è stata accorta e anche un po’fortunata. In Veneto la Regione ha avuto coraggio e determinazione sotto la guida di un esperto virologo, all’ospedale di Alzano Lombardo non vi è stata la stessa determinazione. Vorrei però ricordare che a posteriori è facile criticare, ma chiudere un ospedale non è proprio cosa da fare con leggerezza, è una questione complessa (eravamo ancora in febbraio con le piste da sci funzionanti a pieno regime). Cosa significa potenziamento della medicina del territorio? In Italia il rapporto è di un medico di famiglia ogni 1500 abitanti. Ora, se concretamente si vuole agire sul territorio, o si riduce tale rapporto e si chiede un differente impegno a tali sanitari, oppure si potenzia l’apparato di medicina territoriale e domiciliare che li coadiuva. Deve esistere coordinamento tra il distretto, che garantisce la equipe infermieristica del territorio, e i medici di famiglia, che sono convenzionati e non dipendenti. Su tale aspetto, suscitando immediate reazioni, la Regione Lombardia ha proposto di superare il convenzionamento e procedere invece verso la dipendenza di tali figure. Anche la Provincia di Trento ha individuato tale possibilità (Legge provinciale 16/2010). Un problema complesso. Essenziale è comunque il governo del territorio affidato a medicina territoriale e igiene pubblica. In Veneto il filtro fatto da questi servizi ha impedito l’afflusso indiscriminato agli ospedali. L’onda di piena della pandemia è così stata contenuta. La soluzione è nella integrazione tra medici di famiglia e servizi infermieristici domiciliari, nel rapporto funzionale con l’ospedale, in una buona copertura della medicina preventiva e dell’igiene. L’ospedale è uno degli elementi del sistema sanitario, ma è ragionevole riuscire a gestire il maggior numero di malati fuori dall’ospedale. Non è irrilevante che gli ospedali siano costosi ed è quindi saggio principio di economia cercare con tutti i mezzi di ridurre al minimo il numero degli ammalati da ricoverare. Per fare ciò occorre una medicina del territorio competente e preparata, attrezzata, bene organizzata. In Trentino era operativa una gestione distrettuale: una direzione di area che governa l’ospedale di valle e la medicina territoriale integrando le due realtà. Ora il sistema è tagliato orizzontalmente e gli ospedali sono staccati dal territorio con responsabili differenti (la riforma Zeni, ora in fase di valutazione). Ogni modello non funziona solo con l’impegno e la competenza di coloro che vi lavorano, ma anche con regolamenti saggi e funzionali.