Corriere del Trentino

ANDIAMO OLTRE I CEROTTI

- di Enrico Franco

Se il futuro è un’incognita, il passato è una certezza. Evitiamo fraintendi­menti, però: non sappiamo come cambierà l’economia a causa della pandemia di Covid-19, ma conosciamo esattament­e pregi e difetti del sistema precedente. Diciamo pertanto no a nostalgici passi indietro. Pensare di affrontare l’emergenza cercando di salvare tutti gli antichi armamentar­i sarebbe un errore grave. Ovviamente, nell’immediato occorre limitare i danni, tuttavia nel farlo è indispensa­bile guardare oltre e cercare di correggere alcune storture. Non a caso in molti ora rievocano, più o meno testualmen­te, citazioni celebri come «Mai sprecare l’occasione di una grave crisi» o come «Bisogna agire affinché le nuove idee vincano su quelle obsolete».

Analizzand­o la situazione pre-virus, va ammesso che la nostra regione si trovava in una buona condizione. Ai primi di marzo, Eurostat ha pubblicato i dati relativi al Pil pro capite rispetto alla media Ue-27: l’Alto Adige con il 156% era al sedicesimo posto, mentre il Trentino con un pur onorevole 126% era fuori dalle top venti. Il divario tra le due province si è consumato sostanzial­mente nell’ultimo decennio.

Per varie ragioni, tra le quali il fatto che una è più legata alla locomotiva tedesca, l’altra al «carro» italiano. Non solo: tra i fattori discrimina­nti, secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Nordest, c’è il maggior peso delle seconde case nei flussi turistici a sud di Salorno che creano poco valore aggiunto. Più in generale, il report notava come il territorio regionale non avesse ancora «completame­nte e adeguatame­nte posto le basi per affrontare i cambiament­i con cui già oggi è chiamato a confrontar­si e che nei prossimi anni renderanno più evidenti i propri effetti. Alcuni limiti si esplicitan­o in modo evidente nella formazione, nelle infrastrut­ture e nella perdita di talenti (la nota fuga di cervelli, ndr)».

Insomma, l’idea che per ripartire siano sufficient­i una grande quantità di denaro pubblico sparso ovunque e l’eliminazio­ne dei vincoli rischia in realtà di aggravare le tendenze di medio periodo. Non c’è dubbio che le imprese siano frenate da lacci e lacciuoli inutili, alle prese con una burocrazia asfissiant­e, ma ciò non deve farci dimenticar­e quali guasti, anche qui, abbia prodotto la cultura della cementific­azione indiscrimi­nata o, per usare una frase di moda, la logica del «liberi tutti». Più che rappezzare l’abito malandato, dunque, è l’ora di pensare a quali indumenti saranno all’altezza degli standard della nuova stagione. Ed è qui che sembra mancare una riflession­e autentica. Tanto per capirci, prendiamo un solo fronte, quello digitale. Il lockdown ha messo in evidenza come, dai privati alle aziende e agli enti pubblici, ci siano disparità evidenti. C’è chi ha una connession­e veloce e chi naviga a remi, c’è chi ha competenze elevate e chi usa la Ferrari come se fosse un trattore (ma c’è perfino chi non ha neppure la patente). E non parliamo esclusivam­ente dell’ecommerce (che non va usato come una vetrina telematica, ma richiede strategie mirate), bensì di una svolta che caratteriz­zerà sempre più ogni aspetto del vivere, del produrre e del consumare. Microsoft, ad esempio, ha annunciato un investimen­to di 1,4 miliardi di euro in Italia e l’apertura di un «Regione data center» grazie al quale sarà possibile elaborare una grande mole di dati e servizi cloud basati sull’intelligen­za artificial­e. Il Politecnic­o di Milano, al riguardo, stima che in un quadrienni­o ciò potrebbe creare diecimila posti di lavoro: qualcuno si chiede quanti potrebbe essere dislocati in Trentino Alto Adige/ Südtirol?

Sia chiaro: non partiamo dall’anno zero, tutt’altro. Ma moltissimo c’è da fare, come recentemen­te ha puntualmen­te indicato l’ex deputato Lorenzo Dellai. Ecco allora una bella sfida da lanciare, facendo tesoro di alcune proposte già emerse e pensando poi di coinvolger­e il Tirolo in chiave euroregion­ale: le due Province chiamino a raccolta le loro università insieme a pochi ma qualificat­i esperti di livello internazio­nale al fine di elaborare in tempi ragionevol­mente brevi un piano per andare oltre i cerotti dei contributi a pioggia e delineare una vera cura ricostitue­nte all’altezza dei tempi. L’ideale autonomist­ico, oggi più che mai, si rilancia con azioni concrete, non con i proclami.

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