ANDIAMO OLTRE I CEROTTI
Se il futuro è un’incognita, il passato è una certezza. Evitiamo fraintendimenti, però: non sappiamo come cambierà l’economia a causa della pandemia di Covid-19, ma conosciamo esattamente pregi e difetti del sistema precedente. Diciamo pertanto no a nostalgici passi indietro. Pensare di affrontare l’emergenza cercando di salvare tutti gli antichi armamentari sarebbe un errore grave. Ovviamente, nell’immediato occorre limitare i danni, tuttavia nel farlo è indispensabile guardare oltre e cercare di correggere alcune storture. Non a caso in molti ora rievocano, più o meno testualmente, citazioni celebri come «Mai sprecare l’occasione di una grave crisi» o come «Bisogna agire affinché le nuove idee vincano su quelle obsolete».
Analizzando la situazione pre-virus, va ammesso che la nostra regione si trovava in una buona condizione. Ai primi di marzo, Eurostat ha pubblicato i dati relativi al Pil pro capite rispetto alla media Ue-27: l’Alto Adige con il 156% era al sedicesimo posto, mentre il Trentino con un pur onorevole 126% era fuori dalle top venti. Il divario tra le due province si è consumato sostanzialmente nell’ultimo decennio.
Per varie ragioni, tra le quali il fatto che una è più legata alla locomotiva tedesca, l’altra al «carro» italiano. Non solo: tra i fattori discriminanti, secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Nordest, c’è il maggior peso delle seconde case nei flussi turistici a sud di Salorno che creano poco valore aggiunto. Più in generale, il report notava come il territorio regionale non avesse ancora «completamente e adeguatamente posto le basi per affrontare i cambiamenti con cui già oggi è chiamato a confrontarsi e che nei prossimi anni renderanno più evidenti i propri effetti. Alcuni limiti si esplicitano in modo evidente nella formazione, nelle infrastrutture e nella perdita di talenti (la nota fuga di cervelli, ndr)».
Insomma, l’idea che per ripartire siano sufficienti una grande quantità di denaro pubblico sparso ovunque e l’eliminazione dei vincoli rischia in realtà di aggravare le tendenze di medio periodo. Non c’è dubbio che le imprese siano frenate da lacci e lacciuoli inutili, alle prese con una burocrazia asfissiante, ma ciò non deve farci dimenticare quali guasti, anche qui, abbia prodotto la cultura della cementificazione indiscriminata o, per usare una frase di moda, la logica del «liberi tutti». Più che rappezzare l’abito malandato, dunque, è l’ora di pensare a quali indumenti saranno all’altezza degli standard della nuova stagione. Ed è qui che sembra mancare una riflessione autentica. Tanto per capirci, prendiamo un solo fronte, quello digitale. Il lockdown ha messo in evidenza come, dai privati alle aziende e agli enti pubblici, ci siano disparità evidenti. C’è chi ha una connessione veloce e chi naviga a remi, c’è chi ha competenze elevate e chi usa la Ferrari come se fosse un trattore (ma c’è perfino chi non ha neppure la patente). E non parliamo esclusivamente dell’ecommerce (che non va usato come una vetrina telematica, ma richiede strategie mirate), bensì di una svolta che caratterizzerà sempre più ogni aspetto del vivere, del produrre e del consumare. Microsoft, ad esempio, ha annunciato un investimento di 1,4 miliardi di euro in Italia e l’apertura di un «Regione data center» grazie al quale sarà possibile elaborare una grande mole di dati e servizi cloud basati sull’intelligenza artificiale. Il Politecnico di Milano, al riguardo, stima che in un quadriennio ciò potrebbe creare diecimila posti di lavoro: qualcuno si chiede quanti potrebbe essere dislocati in Trentino Alto Adige/ Südtirol?
Sia chiaro: non partiamo dall’anno zero, tutt’altro. Ma moltissimo c’è da fare, come recentemente ha puntualmente indicato l’ex deputato Lorenzo Dellai. Ecco allora una bella sfida da lanciare, facendo tesoro di alcune proposte già emerse e pensando poi di coinvolgere il Tirolo in chiave euroregionale: le due Province chiamino a raccolta le loro università insieme a pochi ma qualificati esperti di livello internazionale al fine di elaborare in tempi ragionevolmente brevi un piano per andare oltre i cerotti dei contributi a pioggia e delineare una vera cura ricostituente all’altezza dei tempi. L’ideale autonomistico, oggi più che mai, si rilancia con azioni concrete, non con i proclami.