STUDENTI, L’ULTIMA BANLIEUE
Abbiamo tutti la necessità di recuperare una (diversa) normalità. E di ritornare più vicini, di approssimarci all’altro per rinnovare il senso delle relazioni. Qualche diaframma è già caduto: sul lavoro, nei rapporti parentali, nel commercio, nei culti religiosi. Altri cadranno con la giornata di domani: gli amici, tardivamente riabilitati. E tra due settimane gli spostamenti tra regioni, forse. Tecnici, medici e politici sono tutti protesi a ridisegnare la cornice provvisoria del nuovo sistema: distanze e sicurezza certamente, ma anche i tempi e gli spazi dei nostri contesti di vita. L’economia ha la priorità per non transitare dal virus all’inedia — solo il settore pubblico si conferma come garantito a prescindere, anche dai servizi offerti —, poi tutte le altri voci di categorie, gruppi o sottogruppi che reclamano il loro pezzo di normalità, il loro pezzo di pane.
L’ultima banlieue rimasta sono gli studenti. Estrema periferia del panorama sociale, quando non mera appendice di genitori in affanno, gli alunni di ogni ordine e grado occupano i bassifondi nel ranking della società e nei pensieri di chi governa. La scuola, sospesa, non ha un orizzonte certo.
Forse si ricomincia a settembre, probabilmente sfruttando — almeno per gli allievi più maturi — la didattica online. Si discute di turnazioni in classe, di orari ridotti, mense annullate. I trasporti pubblici, dimezzati, sono poi oggetto di contesa e non potranno quindi trasportare tutti gli studenti della provincia. Nella ricerca di un equilibrio flebile — poiché le spinte verso la «vecchia» normalità si sono confermate incalzanti e soverchieranno il resto, come da copione — l’istruzione rischia di finire a brandelli, cenerentola in un’eterna mezzanotte.
Non è in discussione la complessità di gestire luoghi per loro natura così affollati e gioiosi, ma il punto è un altro. I 70mila studenti dovrebbero essere il baricentro della ripartenza e la piattaforma intorno alla quale riarticolare i tempi e gli spazi. Per essere più chiari: è preferibile immaginare nuovi orari del lavoro (nelle fabbriche, negli uffici, negli enti pubblici, nel terziario) salvaguardando quelli delle scuole. L’educazione non può essere un satellite dell’organizzazione più generale della società, ma il suo perno altrimenti non abbiamo prospettive. I bambini, poi, sono soggetti esposti, vulnerabili, esili come fili di erba battuti dalle correnti (adulte).
La scuola va collocata al centro perché è il motore della cittadinanza, della conoscenza e della socialità. Il sapere porge gli strumenti del pensiero critico, di un divenire cittadino che è la base della convivenza collettiva. La scuola non è un servizio di intrattenimento per una società fondata sulla produzione e il consumo. E la didattica a distanza ha mostrato la sua reale natura di strumento emergenziale — surrogato prezioso per mantenere l’arcata dei ponti, ma appunto surrogato — che non consente di avere feedback dei contenuti veicolati, che deprime le relazioni, che discrimina tra gli alunni, che si rivolge ad un pubblico già formato (soprattutto gli studenti delle superiori). Limiti che non rendono immaginabile una sua reiterazione nel tempo. Peraltro questa protratta sospensione ha trasformato i genitori in maestre/i o docenti aggiunti, scaricando impropriamente una parte del peso della didattica sulle famiglie.
Naturalmente rimodellare la scuola alle nuove esigenze di sicurezza e protezione richiede un investimento (e non tagli), un po’ di flessibilità da parte di tutte le sue componenti, un po’ di amore verso il nostro futuro condiviso (le giovani generazioni) e una scelta politica precisa. Quella mancata finora visto che ogni settimana vengono avanzate le ipotesi più varie senza una chiara strategia. L’unica soluzione è garantire la riallocazione in classe di tutti gli studenti — dall’asilo alle superiori, e possibilmente l’università — recuperando gli spazi necessari (novanta in più quelli calcolati a Trento) e le risorse utili, sfruttando le sinergie con i Comuni e armonizzando i tempi delle altre componenti della società con quelli delle istituzioni della formazione. Verso gli studenti abbiamo maturato tutti, in questi quasi tre mesi, un debito. E adesso va saldato.