I 37 MILIARDI DEL MES E LA SFIDA AMBIENTALE
La pandemia da covid-19 produrrà «la peggiore recessione dopo la crisi del ‘29». Ad affermarlo è il Fondo monetario internazionale. Il Pil del pianeta calerà del 3% nel 2020 (in Italia -9,1%). Forse migliorerà l’anno prossimo, sempre che la situazione svolti nel secondo semestre
Nel 2021 si prevede una ripresa mondiale del 5,8% e di un +4,8% per l’Italia. Ed è su queste cifre che si gioca la vera partita: quanto esse potranno essere confermate (smentite, o migliorate) dipenderà molto dalle politiche economiche che, a ogni livello, si saprà mettere in campo. E dalle politiche monetarie — sia detto per inciso — della Bce. La storia servirà a poco (lo pensano in molti) ma proprio la «grande depressione» degli anni Trenta può darci una lezione. Quella del ’29 fu una crisi diversa, diversissima da quella attuale: iniziò con un crollo dei prestiti Usa nei confronti dei Paesi debitori (e tra questi in testa c’era la Germania), seguito da un impatto negativo (deflazionistico) sull’economia mondiale: calo degli investimenti, disoccupazione, crollo dei consumi. Però, dicono alcuni studiosi tra i più acuti: se da subito si fossero adottate politiche espansive, forse sarebbe stato possibile limitare i danni. In Europa si sono fatti passi importanti in questi ultimi tempi. Il programma Sure contro la disoccupazione e la Bei per dare ossigeno alle piccole e medie imprese. C’è poi la vera novità: il Recovery fund, il fondo per la ricostruzione, una sorta di Piano Marshall, che apre alla possibilità di erogare non solo prestiti ma anche sussidi a fondo perduto. Una vera manna per l’Italia e per il suo debito. Detto e fatto? No, ovviamente: ci vorranno alcuni mesi per metterlo a punto, per valutare come finanziarlo. Intanto serve liquidità, molta liquidità. In questi giorni i ministri delle finanze dei Paesi Ue hanno nuovamente discusso sul Mes, il fondo della discordia, che divide la politica e gli italiani. C’è lo spauracchio di finire come la Grecia, costretta, per aver attinto al Mes, a misure draconiane e al taglio delle spese sociali (sono le cosiddette condizionalità). Quel meccanismo è però superato nei fatti (e dal compromesso): oggi gli Stati membri possono ottenere prestiti dal Mes fino al 2% del Pil, a un basso tasso d’interesse, purché vengano usati per sanità, cura e prevenzione da covid-19. In questo momento all’Italia spetterebbero circa 36-37 miliardi dal Mes. Certo: va verificato che veramente non vi sia alcun vincolo, ma perché rinunciarvi? Piuttosto, perché non rilanciare. Si fa un gran parlare proprio in Europa di Green New Deal, di sfida ambientale, di emissioni zero da raggiungere da qui al 2050. Bene, c’è la possibilità di utilizzare i fondi Mes (senza condizionalità) anche per un rilancio del Paese in chiave green? Lo si verifichi, lo si contratti, si porti a casa il risultato. Sapendo che il punto di partenza è già buono: all’Eurogruppo si è deciso che la durata del credito concesso dal Mes sarà di 10 anni, non di 2 o di 5 come si temeva. Non è una cosa di poco conto avere più tempo per poter rientrare dal prestito. Riuscire a ottenere una buona mediazione anche sull’uso (estensivo) delle risorse ottenibili dal Mes sarebbe importante per l’Italia. Un’occasione per collegare la ricostruzione post covid-19 con l’idea di un’economia più moderna, più sostenibile e a basso impatto ambientale. Si deve progettare da subito il periodo della ripresa economica, da attuare una volta superate le fasi 1 e 2, la forzata convivenza con il virus. Si è parlato in proposito di un articolato programma di investimenti pubblici, non certo perché vi sia bisogno di un capitalismo di Stato ma per rilanciare la domanda. Di recente, anche Romano Prodi ne ha argomentato le ragioni — e lo spirito keynesiano —, proponendo vari interventi, dall’edilizia scolastica agli ospedali, dalle strade alle ferrovie, fino alle azioni di difesa del suolo. Quando ci si riferisce alle opere pubbliche l’immaginario collettivo pensa al cemento e al calcestruzzo: l’imprenditore all’affare e l’ambientalista allo scempio. E ci si divide. Per questo — torno a insistere — l’idea è quella di accettare la sfida di un Green New Deal italiano. Magari di riuscire a farselo finanziare, almeno in parte, con i fondi Mes senza condizionalità. Sarebbe un modo per mettere d’accordo un po’ tutti. Da questa crisi si può uscire più forti. E migliori di prima. Bisogna però volerlo, e volerlo assieme. Lo spirito giusto è quello che si respirava tra le forze politiche presenti nel dopoguerra. Lo stesso atteggiamento che animò l’Assemblea costituente e partorì la nostra Costituzione: il migliore distillato possibile. Oggi, con il medesimo spirito, si può superare la crisi.