Spazi piccoli, spese elevate o clientela turistica: i problemi di chi non riapre
TRENTO La distanza di un metro tra un cliente e l’altro rappresenta senza dubbio una boccata d’ossigeno rispetto ai due metri iniziali, ma per una parte cospicua di bar e ristoranti la distanza tra le misure di sicurezza e le esigenze pratiche continuerà a essere insormontabile. E così domani per molte realtà economiche non ci sarà nessun giorno di riapertura. Scelte aziendali dettate dalla drastica riduzione dei coperti, dalla paura di ricevere una multa e dall’inevitabile restringimento della clientela.
L’intesa siglata venerdì tra Governo e Regioni — che ha eliminato il vincolo dei quattro metri quadrati per ogni cliente — non ha influito sul destino dei ristoranti con locali di piccole dimensioni. «A noi anche il metro di distanza ci mette in difficoltà — spiega Maria Losito, titolare della trattoria «Al Parol» di via Mesiano —. Disponendo di una sala di 40 metri quadrati dovremmo portare il ristorante da 20 a 8 coperti e con questi numeri non ce la faremmo a sostenere le spese, anche perché noi facciamo principalmente cucina di pesce». In attesa di misure meno restrittive, si cerca comunque di lavorare. «Da ormai più di un mese, oltre al servizio d’asporto, abbiamo attivato anche quello a domicilio — racconta —. Per fortuna abbiamo due figli che ci danno una grossa mano con le consegne, altrimenti non saremmo mai riusciti a andare avanti. E grazie al cielo noi lavoriamo con le persone del posto, non oso pensare cosa stanno passando i ristoranti che lavorano con la gente di fuori».
Per le attività di ristorazione che sorgono nel centro storico in effetti la situazione non è meno complicata. «Siamo molto preoccupati — confessa Fabio Dal Palù del ristorante «Antica trattoria due Mori» di via San Marco —. Fino a quando ci saranno le limitazioni agli spostamenti non potremo mai ripartire bene. Noi lavoriamo tantissimo con la clientela proveniente dalle regioni limitrofe e da altre nazioni». Prima di riaprire, quindi, bisogna fare bene i conti. «Già nei due mesi che siamo stati chiusi abbiamo perso 80.000 euro di entrate — osserva —. Aspettiamo questi primi cinque giorni e poi venerdì, se ci saranno le condizioni, riapriremo». In questo modo, posticipando la riapertura, si evita anche di correre il rischio di incappare in sanzioni. Alcune regole, infatti, non sono ancora del tutto chiare e in molti preferiscono attendere precisazioni. «Noi avevamo riaperto il 4 maggio con il servizio d’asporto e a domicilio ma dopo sette giorni abbiamo deciso di chiudere perché eravamo sempre in apprensione per gli assembramenti che si creavano fuori dal locale — dice Maurizio Menta, titolare del ristorante e bar «Uva e menta» di via Dietro le Mura —. Non possiamo essere responsabili di quello che succede all’esterno del locale, se non sarà chiarito questo aspetto rimarremo chiusi». Problema che è stato riscontrato anche dai bar «Al Posta» e «Il Monello» di via Mazzini, che hanno optato per una riduzione dell’orario.
Con il mantenimento della chiusura dei ristoranti molti lavoratori restano a casa, spesso senza ricevere l’indennità di cassa integrazione. «In questi ultimi due mesi i nostri dipendenti (circa 30) non hanno mai ricevuto niente — fa notare Adam Santoni, che insieme alla famiglia gestisce i ristoranti «Doc», «Antico pozzo» e «Orso grigio» —. Noi lunedì riapriremo soltanto il Doc e l’Antico pozzo, che passeranno rispettivamente da 250 a 125 coperti e da 100 a 40. Per l’Orso Grigio dovremo ancora aspettare. Soltanto per la sanificazione dell’ambiente e le altre misure di igienizzazione dovremo spendere 15.000 euro fino a settembre».
Santoni Riapriremo il Doc e l’Antico Pozzo che passeranno da 250 a 125 coperti e da 100 a 40. Per l’Orso grigio dovremo attendere ancora
Al Parol Anche con un metro di distanza non avremmo abbastanza coperti per coprire le spese
Due Mori Fino a quando ci saranno le limitazioni non potremo ripartire bene. Lavoriamo tanto con chi arriva da fuori Trento