Via la pistola al detective «Non serve»
Dopo 44 anni gli viene negato il diritto di portare un’arma. «Non è necessaria» è la scelta della questura. Protagonista un detective privato che pratica questa professione da una vita.
Detective privato da
TRENTO quasi tutta la vita, per quasi 48 anni ha diviso le sue giornate tra appostamenti e pedinamenti, in luoghi spesso appartati. Un lavoro che l’avrebbe esposto anche a rischi e aggressioni da parte di dipendenti licenziati o coniugi imbufaliti perché colti in fallo. Ma anche questo fa parte della professione, sono rischi del mestiere e il detective lo sa bene, tanto che negli appostamenti ha sempre portato con sé la pistola per difesa personale.
Ma per la questura non è necessaria, o almeno non più. Dopo ben 44 anni, infatti, non ha più diritto di portare un’arma e non perché si sia macchiato di qualche crimine, ma semplicemente perché non è ritenuta necessaria in quanto non ci sarebbero rischi correlati alla professione. Almeno questo è quanto si evince dal provvedimento diniego al rinnovo del porto d’armi.
Un parere difficile da digerire per l’uomo, gestore di un’agenzia investigativa privata, che ora promette battaglia davanti alla giustizia amministrativa. Il detective, attraverso l’avvocato Monica Carlin, ha presentato ricorso chiedendo l’annullamento del provvedimento della questura e di quello successivo del Commissariato del governo che di fatto conferma il parere espresso dall’autorità amministrativa dell’ordine pubblico.
Ma vediamo di capire meglio perché la vita, tra macchine fotografiche, notes, appostamenti e ricerche, del detective è iniziata nel 1972. L’uomo, considerata la delicatezza della sua professione, ha da subito chiesto e ottenuto il porto d’armi. Solo per un periodo di quattro anni, dall’’81 all’85, il detective era stato costretto a sospendere la sua attività per motivi familiari, ma nonostante la sospensione la licenza del porto d’armi è stata sempre rinnovata. Almeno fino all’estate del 2019 quando l’investigatore ha presentato la consueta domanda di rinnovo, ma il 27 luglio gli è stato notificato il niet della questura.
L’uomo ha quindi presentato un ricorso gerarchico al commissariato del Governo, ma nulla è cambiato. L’11 ottobre 2019 il commissario del Governo respinge il ricorso. «Non si evincono le motivazioni a sostegno del bisogno di andare armato, con riferimento all’esposizione a pericoli per la propria incolumità, in ragione dell’attività professionale svolta», si legge nel provvedimento. Insomma la sua attività di detective non lo esporrebbe ad alcun pericolo.
Ma l’avvocato dell’investigatore trentino è di tutt’altro avviso. «L’attività del ricorrente comporta frequentemente situazioni di pericolo per la sua incolumità personale, sia per il rischio che deriva da aggressioni o ritorsioni da parte degli stessi soggetti interessati delle indagini — precisa nel ricorso — all’esito delle quali, alcuni sono stati licenziati e altri sono finiti in carcere». Il porto d’armi, secondo il legale è «indispensabile dal punto di vista professionale e per la propria difesa personale». Ora saranno i giudici del Tar a decidere, l’udienza è stata fissata per il prossimo 30 luglio.