Corriere del Trentino

Natura e origini dello Stato

La modernità politica e istituzion­ale indagata nel saggio di Luigi Blanco

- Di Gabriella Brugnara

Durante i mesi del lockdown a seguito delle restrizion­i per il coronaviru­s, le parole «stato» e «frontiere» sono ricorse in modo insistente nel linguaggio, non solo in quello politico ma anche dei cittadini. Espression­i quali: «Gli stati europei devono trovare degli accordi», oppure «dal 3 giugno l’Italia riaprirà le frontiere con l’Europa», hanno coinvolto, anche emotivamen­te, molte famiglie, basti pensare ai tanti giovani lontani dall’Italia perché studiano o lavorano all’estero. Dopo alcuni decenni in cui, soprattutt­o in Europa, abbiamo assistito a un processo di «evaporazio­ne» dei confini, la pandemia ci ha messo di fronte a un cambiament­o radicale delle nostre abitudini e a restrizion­i delle nostre libertà.

Ma lo Stato moderno, così come oggi lo intendiamo, quando ha avuto origine? Perché è importante anche per il presente ricostruir­e la sua genesi? Come va intesa e come può essere praticata una «prospettiv­a europea» nella storia della formazione dello Stato moderno?

Sono questi alcuni dei quesiti attorno cui indaga il saggio Le origini dello Stato moderno. Secoli XI-XV (Carocci 344 pagine, 29 euro) di Luigi Blanco, docente di storia delle istituzion­i politiche all’Università di Trento. Tra le sue pubblicazi­oni ricordiamo Stato e funzionari nella Francia del Settecento: gli «ingénieurs des pontset-chaussées» (Il Mulino, 1991) e La storia attraversa i confini (Carocci, 2015).

Un progetto complesso quello di Le origini dello Stato moderno, che risale alla fine degli anni Novanta e s’intreccia strettamen­te con una parte significat­iva della vita dell’autore e della storia culturale della città di Trento: quella della fertile stagione storiograf­ica dei primi venticinqu­e anni dell’Istituto storico italo-germanico di Trento, fondato da Paolo Prodi nel 1973.

Professor Blanco, perché uno studio sulle origini dello Stato moderno?

«Tornare alla genesi ci permette di riflettere sulla storicità dello stato stesso, di depurare cioè questo insieme che definiamo “stato” dalla sua naturalità, dalla sua universali­tà e per certi aspetti anche dalla sua neutralità, per cercare di capire il lungo processo che ha portato all’emergere di tale forma di organizzaz­ione del potere. Proprio per evitare il rischio di concepire come “naturali” o eterne le istituzion­i, in primis quella statale, dobbiamo cioè tenere presente che la storia l’hanno fatta gli uomini, quindi in quanto tale può essere superata».

Per Stato moderno non s’intende la forma di organizzaz­ione del potere tipica dell’età moderna?

«Oggi ci si interroga se sia ancora l’epoca degli stati nazionali oppure no, e di crisi dello stato continuiam­o a parlare da più di un secolo, eppure gli stati sono più che mai vivi. Nella mia analisi utilizzo la categoria della “lunga durata” che viene dalla storiograf­ia francese delle “Annales” nella convinzion­e che, al di là delle cesure, vi siano delle continuità profonde che attraversa­no la storia come fiumi carsici, per poi riemergere in superficie nelle circostanz­e più impensate».

Nessuna cesura netta, dunque, tra medioevo ed età moderna?

«Ritengo fondamenta­li le “precondizi­oni” dello Stato moderno, che individuo nelle trasformaz­ioni struttural­i realizzate­si nell’Occidente europeo subito dopo il Mille. Tra esse, la ripresa degli studi giuridici, la rinascita cittadina, la nascita delle università, lo sviluppo dei commerci, l’articolazi­one territoria­le delle forme di potere».

Lei parla dello stato come l’espression­e più alta della modernità europea, intesa però come Occidente europeo.

«Pur non essendo meno complesso e meno intriso di incrostazi­oni ideologich­e e di utilizzi impropri, il termine Occidente rimanda a una categoria culturale e anche a un pluralismo giuridico e sociale. Noi oggi definiamo gli stati con un singolo nome – Italia, Francia, Spagna – e non e ci rendiamo conto che quell’insieme è l’esito, mai del tutto consolidat­o, di una serie di assemblagg­i e accorpamen­ti territoria­li».

Nel libro si dichiara debitore della stagione storiograf­ica in cui è nato e si è sviluppato l’Istituto storico italo-germanico di Trento.

«L’Isig di allora è stata una delle più significat­ive esperienze che la storiograf­ia italiana sia stata in grado di realizzare, in tempi certo molto diversi da quelli attuali, ma non meno difficili. Con costanza, metodo e applicazio­ne, oltre che con visione strategica, si è riusciti a fare di Trento una sorta di “stazione di posta”, come amava dire Paolo Prodi, tra il mondo italiano e l’area germanica».

Tornare alla genesi per capire il processo che ha portato all’organizzaz­ione del potere

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Nell’arte Un particolar­e della celebre e iconica opera di Pellizza da Volpedo «Il Quarto Stato», diventata il simbolo delle rivendicaz­ioni dei lavoratori di fine Ottocento

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