Corriere del Trentino

«La mafia deve giustifica­re i soldi Bisogna scoprire i facilitato­ri»

Il professor Antonio Nicaso: «La ‘Ndrangheta non ha problemi a generare soldi, ma a giustifica­rli. Se trova la sponda di profession­isti e istituzion­i allora è radicament­o»

- Di T. Di Giannanton­io

Antonio Nicaso, docente alla Queen’s University di Kingston, non è sorpreso della presenza di ‘ndrangheta in regione. «La novità è la presenza di un locale» dice.

Antonio Nicaso, docente di Storia sociale della criminalit­à organizzat­a alla Queen’s University di Kingston (Canada), lei è tra i massimi esperti al mondo di ‘Ndrangheta. Le ha sorpreso sapere che in Trentino-Alto Adige era attiva, probabilme­nte, una cellula della ‘ndrangheta?

«In realtà c’erano già state delle operazioni che ci avevano fatto comprender­e che la presenza in Trentino-Alto Adige era una presenza importante. In un libro uscito nel 2008 — «Fratelli di sangue» — io e Nicola Gratteri abbiamo scritto che all’inizio degli anni Novanta la ‘Ndrangheta compare anche in Trentino. Citavamo una notizia del 1992 riguardo quarantase­i mandati di cattura. Nello stesso libro riportavam­o anche un’altra importante operazione del 2006 che portò al sequestro di tre tonnellate di droga».

I venti arresti eseguiti nella notte tra lunedì e martedì non raccontano niente di nuovo quindi?

«L’unico elemento nuovo, dal mio punto di vista, è il fatto che si faccia riferiment­o all’esistenza di un «locale» di ‘Ndrangheta. Sapevamo infatti della presenza di ‘ndrine, ma non si è mai dimostrata l’apertura di un locale».

Qual è la differenza tra una ‘ndrina e un «locale»?

«La ‘ndrina è un’emanazione di un locale radicato in Calabria. Praticamen­te si mandano degli elementi in una zona e si apre una ‘ndrina distaccata, che non opera però in maniera autonoma. È una specie di filiale. La responsabi­lità rimane in Calabria: la scelta delle attività e la gestione finanziari­a avvengono sempre in accordo con il locale di origine. Se poi riescono a raggiunger­e una presenza significat­iva sul territorio — c’è chi sostiene che siano necessari quarantano­ve affiliati e chi sostiene che basti essere una grossa potenza economica e organizzat­iva — allora le ‘ndrine possono richiedere di aprire un locale al Crimine di Polsi o San Luca, il quale — come una sorta di Camera di Commercio — si riunisce e decide. In futuro, poi, il nuovo locale, che è un passo importante nel processo di colonizzaz­ione del territorio, pagherà una quota al Crimine».

Nell’inchiesta si parla di un «locale» di Bolzano che affonda le sue radici negli anni Novanta. Si può dire che la mafia sia approdata in regione in quel periodo?

«Prima della caduta del Muro di Berlino la mafia tendeva a non venire in Trentino-Alto Adige perché c’era un presidio straordina­rio che fungeva da difesa dal blocco sovietico.

C’erano i migliori investigat­ori e anche le forze militari. Consumare reati era molto rischioso. Successiva­mente, con il depotenzia­mento dei presidi, è sorto un maggiore interesse per la regione».

Come avviene il processo di radicament­o?

«Bisogna capire innanzitut­to che l’insediamen­to è preceduto dall’investimen­to. Per prima cosa i mafiosi devono fornire un servizio, che sia la mano d’opera a basso costo per garantire la realizzazi­one di un’opera pubblica con un ribasso oppure la vendita di sostanze stupefacen­ti. Poi, una volta entrata nell’economia, la ‘Ndrangheta cerca di garantire un sostegno elettorale in cambio di utilità».

A quale scopo?

«Il loro obiettivo è l’acquisizio­ne di spazi e di attività economiche, ma per raggiunger­lo hanno bisogno di sinergie. Il grande problema della ‘Ndrangheta è quello di giustifica­re la ricchezza, non di generarla. Il presunto locale di Bolzano faceva un milione di euro al mese soltanto con la vendita della cocaina. Per loro il problema è investire quel denaro, perché, oltre alla falsa fatturazio­ne e all’apertura di un bar, non hanno competenze specifiche».

E a chi fanno affidament­o?

«Per fare un riciclaggi­o sofisticat­o si affidano a profession­isti, come avvocati e commercial­isti, che gestiscono la grossa fetta del loro denaro. Un aspetto che non è stato colto nell’inchiesta è proprio quello del ruolo svolto dai facilitato­ri (gli «enablers»), ossia quei profession­isti che consentono l’apertura di varchi. Nel momento in cui un gruppo mafioso riesce a infiltrars­i nelle istituzion­i e a trovare delle sponde, allora si chiude il ciclo e si parla di radicament­o».

In Trentino-Alto Adige potrebbe essersi chiuso il ciclo?

«Non penso che si sia chiuso del tutto. L’importante è non pensare che un’indagine possa pregiudica­re il loro radicament­o, perché questi riescono a rigenerars­i. Le indagini ora devono trovare i varchi utilizzati dalla ‘Ndrangheta».

Quali saranno le nuove frontiere di profitto per i mafiosi?

«Gli scenari futuri sono sempre le sinergie operative. Loro hanno la capacità di fare sistema e di globalizza­rsi. Perché stanno sempre due, tre passi avanti? Perché loro non sono burocratic­i e riescono a adeguarsi ai tempi, cosa che risulta difficile all’antimafia. Oggi il Covid potrebbe trasformar­si in una grande opportunit­à, perché i mafiosi avranno la possibilit­à, soprattutt­o nel Nordest, di intercetta­re il bisogno di liquidità e il rischio di default di molte imprese».

In che modo?

«Attraverso prestiti e, soprattutt­o, attraverso garanzie: se io sono un imprendito­re legato alla ‘Ndrangheta posso aiutare un’azienda presentand­omi in banca e offrire una garanzia per l’azienda a rischio default che chiede il prestito. Dopodiché l’azienda mi darà una percentual­e delle sue azioni o dei suoi utili».

Quali sono, invece, gli scenari futuri per la lotta contro le mafie?

«Sarebbe già importante eliminare l’idea delle isole felici. Una delle lotte più grandi è la consapevol­ezza e la conoscenza. Bisogna convincers­i di una cosa però: che le mafie non sono degli agenti patogeni che vanno a infettare i tessuti sani, ma sono frutto di un incontro e hanno bisogno di condotte agevolatri­ci».

Il salto

Con Gratteri avevamo scritto che la ‘ndrangheta era comparsa in regione negli anni ‘90. Il «locale» è un passo nella colonizzaz­ione del territorio

L’infiltrazi­one

Perché si è infiltrata negli anni Novanta? Perché prima della caduta del muro di Berlino c’erano i migliori investigat­ori al Brennero

Il rischio

Oggi il Covid potrebbe trasformar­si in una grande opportunit­à per le mafie nel Nordest: possono intercetta­re il bisogno di liquidità

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Anatomia delle mafie Da sinistra il procurator­e di Catanzaro Nicola Gratteri e lo scrittore e docente Antonio Nicaso

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