Il dubbio di Dragone «Nelle mafie moderne difficile dimostrare l’atto di intimidazione»
TRENTO «La caratteristica più insidiosa di determinati personaggi è che hanno una capacità intimidatrice sottintesa quando stringono accordi con i politici e la realtà economica del Nordest». Un territorio che nel giro di cinque giorni ha visto la concretizzazione di due rilevanti operazioni antimafia: quella che giovedì scorso ha sgominato un «locale» di ‘Ndrangheta di Verona e l’operazione Freedom che nella notte tra lunedì e martedì ha portato a venti arresti riconducibili a un altrettanto presunto «locale» di ‘Ndrangheta di Bolzano. «Due inchieste che hanno caratteristiche simili e che possono essere messe a confronto», spiega l’ex procuratore capo di Trento Stefano Dragone, attualmente responsabile del «Gruppo di lavoro in materia di sicurezza» della Provincia e componente dell’«Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza» della Regione Veneto.
Dottor Dragone, lei è stato a capo della Procura di Trento per sette anni, che effetto le ha fatto sapere degli arresti eseguiti a inizio settimana?
«Diciamo che non sono rimasto meravigliato più di tanto. Io abito a Verona e qui il fenomeno dei collegamenti e dell’operatività di alcuni soggetti ‘ndranghetisti con la realtà economica è abbastanza noto. Mi sono sempre chiesto perché non dovesse accadere un fenomeno del genere anche in Trentino-Alto
Adige».
Lei non aveva avuto nessun sentore?
«Onestamente no. Gli unici aspetti di criminalità di un certo rilievo erano quelli collegati allo spaccio».
Qual è la particolarità del fenomeno mafioso al Nord?
«Nel Centro-nord e nel Nordest le infiltrazioni mafiose non vanno legate necessariamente a episodi di violenza esplicita, come può essere un attentato o la minaccia con il maialino tagliato. Diciamo che in questi territori i mafiosi hanno una capacità intimidatrice sottintesa quando stringono accordi con i politici e la realtà economica. Questa è anche la loro caratteristica più insidiosa».
Le due inchieste che stanno portando avanti la Direzione distrettuale antimafia di Trento e la Dda di Venezia possono essere considerate equiparabili?
«Sono due inchieste che hanno caratteristiche simili e che possono essere messe a confronto, ma presentano una differenza rilevante: in Veneto il collegamento con il tessuto economico dura da molto tempo, mentre in Trentino, ma anche in Alto Adige, è un fenomeno che ha una vita molto più breve».
Come avviene il collegamento con il tessuto economico e istituzionale?
«Le infiltrazioni mafiose avvengono per fare soldi. Si cerca il politico per proteggere e garantire un appalto, mentre si agevolano gli imprenditori economici attraverso l’esclusione di altri imprenditori oppure attraverso l’offerta di una garanzia per un mutuo. Vorrei ritornare su un punto però».
Prego.
«Per distinguere l’associazione di stampo mafioso dalle altre associazioni delinquenziali è necessario documentare la forza intimidatrice. Ma quando non ci sono gli attentati o le minacce con le armi, insomma quando non ci sono intimidazioni esplicite, è più difficile dimostrare l’esistenza della mafia. Questo è un problema che è uscito fuori giuridicamente a Roma. Non è facile certificare la forza intimidatrice implicita con la quale i mafiosi stringono accordi con realtà istituzionali e economiche».
Antonio Nicaso, tra i massimi esperti al mondo di ‘Ndrangheta, ha parlato anche del ruolo giocato da professionisti come avvocati o commercialisti, che attraverso condotte agevolatrici favoriscono il radicamento dei gruppi mafiosi nei territori lontani da quello di origine. Un aspetto che nell’ultima operazione non è venuto alla luce.
«È probabile che ci sia un’area grigia, ma bisogna aspettare l’esito finale delle indagini. La capacità investigativa della Procura di Trento è ancora più penetrante di quello che si può immaginare».