Corriere del Trentino

«Le mafie qui dagli anni ‘80»

Il procurator­e Palermo e le inchieste su traffico di armi e droga «L’operazione di oggi getta un faro sui collegamen­ti presenti da anni Attentato? Sono un sopravviss­uto»

- Di Giannanton­io

«La criminalit­à organizzat­a era radicata in regione dagli anni ‘80». Lo spiega l’ex pm Carlo Palermo che nella sua maxi inchiesta, 40 anni fa, si occupò di mafia in Trentino.

TRENTO Dicembre 1979, le forze dell’ordine sequestran­o 110 chilogramm­i di morfina a Trento destinati a Karl Kofler e Herbert Oberhofer, i quali costituiva­no un anello di congiunzio­ne tra i trafficant­i turchi e i mafiosi siciliani. Qualche mese dopo Carlo Palermo, all’epoca giudice istruttore presso il Tribunale di Trento, apre un’indagine su un traffico internazio­nale di armi e droga. Oggi, a distanza di quarant’anni, dopo la recente operazione Freedom che ha sgominato un presunto «locale» di ‘Ndrangheta di Bolzano, siamo andati a trovare l’ex magistrato nella sua abitazione di Povo. Accolti nel suo studio, con una mano sul mouse e l’altra sul fascicolo dell’ordinanza di rinvio a giudizio del 1984, offre una chiave di lettura sulle infiltrazi­oni mafiose in Trentino-Alto Adige.

Dottor Palermo, che significat­o può avere l’inchiesta che sta conducendo la Direzione distrettua­le antimafia di Trento?

«È un faro che illumina una cosa presente e radicata nei collegamen­ti già dagli anni Ottanta. Ho ancora le indicazion­i in cui tutta l’organizzaz­ione della Calabria era già presente dentro la maxi inchiesta sul traffico di armi e droga. Non è che oggi c’è quello che prima non c’era, sono stati bravi loro a non farsi notare».

Nella sua inchiesta di cosa si occupò?

«Nella prima fase, dal ‘80 al ‘82, mi ero occupato della rifornitur­a di Trento di morfina e eroina dalla mafia turca. Mentre in una seconda fase individuai il gruppo che operava tra Trento, Verona e Milano e che era in collegamen­to con la Sicilia per le raffinerie. Praticamen­te la droga veniva mandata da Trento ai laboratori siciliani, poi ritornava raffinata a Milano, in capo alla stessa organizzaz­ione, e da qui partiva la distribuzi­one per tutta l’Italia, anche per Trento e Verona. Riuscì a ricostruir­e tutto e a settembre del ’82 emisi cento mandati di cattura».

E poi?

«Poi mi trovai ingolfato, perché gestire cento imputati era difficilis­simo (negli anni successivi gli imputati per traffici di droga vennero quasi tutti condannati, mentre gli imputati nei traffici di armi vennero tutti assolti, ndr). Decisi allora di occuparmi solo del traffico di armi e inviai uno stralcio dell’inchiesta a Milano, e un altro a Palermo, dopo che alla fine del ’82 incontrai Montalto, Borsellino, Chinnici e Falcone in un convegno a Sorrento. Il mio inquadrame­nto fu importanti­ssimo, al punto che Falcone e

Borsellino iniziano la descrizion­e del maxi processo partendo proprio dagli atti che gli avevo trasmesso».

Cosa ne fu della parte riguardant­e la ‘Ndrangheta?

«I personaggi Papalia e tutto il gruppo che ruota attorno alla sua famiglia ha costituito oggetto di procedimen­ti a Milano nel processo che è stato definito Duomo Connection, che fu il procedimen­to che rappresent­ò la fase milanese della mia inchiesta, che lì era collegata a tante vicende del mondo milanese. È stata una catena: Trento-Palermo-Milano. In quegli anni, quando veniva trovata la droga nel Nordest, Falcone trovò a Palermo i laboratori di Trabia e Carini che erano forniti da questa organizzaz­ione di Milano, sicché lui venne a Trento a interrogar­e i miei imputati turchi che fecero delle ricognizio­ni che consentiro­no l’identifica­zione di personaggi come Gerlando Alberti».

Perché fu scelto il Trentino-Alto Adige come tappa dei traffici internazio­nali?

«Il Trentino era solo e sempliceme­nte un punto che per la propria situazione e per il proprio benessere offriva tranquilli­tà. Non c’era un occhio attento sulla criminalit­à.

Mentre in Alto Adige la situazione è diversa. La magistratu­ra, per non incidere sul tessuto politico e su tante altre situazioni, non ha mai affrontato a fondo la storia dei legami tra gli altoatesin­i, l’Austria e la Germania, che presenta rapporti transfront­alieri e di interconne­ssione di società e interessi di vario genere nei quali sicurament­e ci saranno stati gli aspetti illeciti. Dunque, vennero scelti il Trentino e l’Alto Adige perché, seppur per motivi diversi, vi era una scarsa attenzione da parte della magistratu­ra e degli organi di polizia giudiziari­a, ma non per l’assenza di organizzaz­ioni: l’organizzat­ore di Trento era Karl Kofler, che era altoatesin­o».

Come arrivò la mafia al Nord?

«Allora i magistrati potevano mandare i sospettati al Nord con soggiorni obbligati. È stato così che sono venute al Nord, soprattutt­o in Veneto e in Lombardia, tante persone che erano sospettate di reati al Sud e che poi hanno formato aggregazio­ni con la criminalit­à comune del Nord, esportando i loro rapporti conoscitiv­i e i loro modelli di criminalit­à. Ad esempio all’inizio del mio procedimen­to accertai il rapporto con Trapani con il personaggi­o di Leonardo Crimi, il quale era venuto in soggiorno obbligato in Veneto, dove aveva iniziato a svolgere i traffici di droga, e probabilme­nte era stato conosciuto da Karl Kofler».

Nel 1985, dopo che fu avviato un procedimen­to disciplina­re a suo carico (su richiesta dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi), fu costretto a lasciare l’inchiesta e si trasferì proprio a Trapani. Che ricordo ha di quei 40 giorni precedenti all’attentato del 2 aprile a Pizzolungo in cui Barbara Rizzo e i suoi due gemelli morirono per lo scoppio dell’autobomba preparata per lei?

«È stato tutto nel terrore, avevo messo in bilancio ciò con cui mi sarei dovuto scontrare, ma non immaginavo che in così poco tempo si sarebbe preparato l’attentato. Non lo potevo sapere e non lo potevo immaginare».

Si sente ancora un sopravviss­uto?

«Purtroppo sì. Da un parte non è possibile non sentirsi responsabi­le, perché c’è poco da fare, se non ci fossi andato non sarebbe accaduto quello che è accaduto. Uno può dire quello che vuole, che non è colpa tua, ma di fatto se io non fossi andato non sarebbero accaduti certi fatti. Dall’altra parte essere sopravviss­uto comporta delle conseguenz­e molto diverse rispetto a chi muore, perché chi muore diventa un eroe e chi invece è sopravviss­uto è un intralcio. Di una persona che muore si può dire qualsiasi cosa: aveva l’agenda, aveva questo e aveva quell’altro. Anche io avevo la borsa con i documenti ma come mai a me nessuno l’ha chiesta visto che sono sopravviss­uto?».

Nel 1979

Ho ancora documenti sui legami della Calabria dentro la maxi inchiesta sul traffico di armi e droga

La scoperta

Le sostanze da Trento passavano ai laboratori siciliani, poi tornava raffinata a Milano Emisi cento mandati

Radici

Vennero scelti il Trentino e l’Alto Adige perché, seppur per motivi diversi, vi era una scarsa attenzione

 ??  ??
 ??  ?? Magistrato Carlo Palermo, sostituto procurator­e a Trento fino al 1984. A destra le foto della strage da cui è scampato (foto Pretto)
Magistrato Carlo Palermo, sostituto procurator­e a Trento fino al 1984. A destra le foto della strage da cui è scampato (foto Pretto)
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy