L’ASSENZA DI CLASSE DIRIGENTE
Confesso che ho qualche esitazione nel proporre questo testo che nasce da una sorta di sgomento di fronte agli immensi problemi che si presentano a noi, a tutti gli uomini, e da quella che mi pare essere una sostanziale inadeguatezza ad affrontarli. Nel corso della mia vita ho vissuto varie situazioni di crisi, dalla remota crisi dei missili russi istallati a Cuba con l’ombra di una guerra nucleare, al terrorismo sugli anni Settanta con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, l’11 settembre e le interminabili guerre nell’area mediterranea, e ora il coronavirus, la pandemia. L’attacco alla salute e all’economia.
Mai come ora mi pare sia misurabile l’inadeguatezza delle classi dirigenti. Il teatro di Trump, la desolante ottusa arroganza di Bolsonaro, la prepotenza di Putin e di Erdogan. L’Europa, pur cariata da vari sovranismi e ciechi egoismi, ha lanciato un grande progetto che costituisce un fronte politico e culturale su cui però cominciamo a misurare l’inadeguatezza della politica italiana, occupata da un lato nella sfilata degli Stati generali e dall’altro lato in un demente dibattito sul Mes: se usare o meno, per riaggiustare la sanità piagata dal virus, soldi che sarebbero erogati attraverso prestiti a lunga scadenza e a interessi vicini allo zero.
Ma l’inadeguatezza nazionale non è solo della politica. Giudici che si organizzano in cordate che sembrano cosche mafiose.
Un importante magistrato che si serve di una trasmissione pruriginosa come «Non è l’Arena» per dichiarare e poi ribadire che il ministro della Giustizia è ricattato e ricattabile da parte di oscuri interessi. Il ministro della Giustizia smentisce. Alla fine il ministro, forse ricattato e ricattabile, resta al suo posto, e il giudice, forse menzognero, resta ugualmente al suo posto, anche nel Csm. La Corte di Cassazione impiega otto mesi per scrivere le motivazioni di una sentenza andando oltre i termini della custodia cautelare. La giustificazione: era una sentenza difficile.
Questo senso di inadeguatezza diventa particolarmente acuto qui da noi, qui in Trentino. Basterebbe lo spettacolo poco edificante dei tramestii della destra per mettere in campo una proposta di un candidato sindaco sia a Trento che a Rovereto. Ma lo spettacolo si fa davvero triste a livello del Consiglio e della Giunta provinciale. Ricordo solo alcuni passaggi. La vicenda Kaswalder. Vicenda lunga la sua, costellata di improvvide dichiarazioni, che giunge all’ultimo episodio. Avendo licenziato per pura esibizione di potere il suo segretario è stato condannato dal giudice di rifondere il danno. Il consiglio di presidenza dove la maggioranza è all’opposizione, la pletora dei suoi vice, avrebbe dovuto dimettersi immediatamente costringendo il presidente alle dimissioni. Non è stato così. È stata invece presentata un’inutile mozione di sfiducia, che bocciata finirà per rilegittimare Kaswalder, così che il Consiglio pagherà tutto fino alle spese processuali, magari costituendosi al processo d’appello al suo fianco.
La Giunta si è istallata in pieno clima Papeete. Per essere sulla stessa lunghezza d’onda ha subito ristretto i finanziamenti e le libertà per i migranti, per arrivare a perdere da ultimo centinaia di migliaia di euro destinati appunto all’integrazione degli stranieri. È una posizione politica e culturale caratterizzante. Come caratterizzante è il processo di smantellamento del Mart evidentemente concordato da Bisesti e Fugatti con Sgarbi. Un funzionario a dirigerlo, e un taglio dei finanziamenti che non ha paragone con le altre istituzioni culturali trentine. Il Mart ha, con varia fortuna, cercato di offrirsi come una proposta culturale internazionale. Evidentemente bisognava riportarlo nell’orizzonte che questa politica riconosce come suo.