La sophora arriva dal Giappone Con i suoi frutti gialli si tingevano gli abiti dell’imperatore
Viene dal Giappone, lo dice anche il suo nome: Sophora japonica, anche se i botanici non lo chiamano più così; ora si chiama Stipholobium japonicum (della famiglia delle Faboideae), si pronuncia «stifolobium». La definizione japonicum è errata: l’albero è di origine cinese. Tutta la pianta contiene potenti veleni.
In minime dosi, i medici cinesi prescrivevano corteccia, frutti, infusi di foglie per guarire alcune malattie. I fiori si usavano in cucina, la corteccia per colorare stoffe. Il vecchio nome «sofora» proviene dall’arabo «sofera», giallo.
È un albero leggero e arioso, raggiunge in maturità circa quindici metri di altezza. Ama terreni asciutti e soleggiati. I suoi semi giunsero in Francia nel 1747. Provenivano dal Nord della Cina, spediti da un missionario e botanico francese che si chiamava D’Incarville. L’albero cresceva originariamente in buona parte dell’Asia; ora lo ritroviamo anche in Europa, nei climi moderati – pur sopportando gelate che toccano i dieci gradi sotto lo zero – usato come pianta ornamentale, per
Aromi I fiori sono color crema riuniti in mazzi e anche leggermente profumati di miele
la bellezza della fioritura, che avviene in agosto, e per l’eleganza del suo portamento. I fiori sono color crema o tendenti al violetto, secondo la varietà. Sono riuniti in mazzi e sono anche leggermente profumati di miele. Con i tempi che corrono, forse è importante ricordare che quando fioriscono, non ci sono molti altri alberi che possano essere visitati dagli insetti: perciò sono importanti per api domestiche e selvatiche, per i bombi e alle varie moschine che si nutrono di nettare e polline.
Il frutto, simile a un fagiolo, pende a mazzetti in autunno dai rami e rimane a lungo in inverno: il baccello è lungo e strozzato a ogni seme.
Dalle giardinerie comunali l’albero è capitozzato regolarmente in primavera. Non ne ho mai capito la ragione. Forse pensano che una chioma ridotta sia più bella.
Nella storia cinese è un albero importante, lo sappiamo perché cresceva nella Città Proibita; da un libro-guida, scritto prima della nostra era, apprendiamo che sotto a tre sofore, Huai in cinese, si riunivano gli alti dignitari, i ministri dell’imperatore, durante le udienze imperiali.
Dalla corteccia e dai frutti della sofora si otteneva, come già accennato, il colore giallo per i tessuti: e di giallo poteva vestirsi solo l’imperatore. Il 24 aprile 1644 l’ultimo imperatore della dinastia Ming s’impiccò ai rami di una sofora, poco prima che gli eserciti manciù occupassero Pechino; la nuova dinastia si estinse poi con l’avvento di Mao.
Un’ultima notizia su quest’albero: gli storici citano la descrizione di una vecchissima sofora; cresceva accanto alle rovine del Palazzo di Timur Barlas, meglio conosciuto come Tamerlano – genio militare, ma protettore delle arti - a Samarcanda.