Smart working finito, ora si torna in ufficio
Dal pubblico al privato si sceglie la presenza. Busato (Confindustria): giusto rientrare, era emergenza
Si torna in ufficio. In Trentino circa il 40/45% dei dipendenti provinciali a oggi è tornato in ufficio, in via esclusiva oppure alternando la modalità in presenza a quella in smart working. Ma con la prossima settimana tutti i lavoratori rientreranno tutti i giorni. Anche per il privato, a eccezione di chi ha esigenze di conciliazione, si torna alla normalità.
TRENTO In Trentino circa il 40/45% dei dipendenti provinciali a oggi è tornato in ufficio, in via esclusiva oppure alternando la modalità in presenza a quella in smart working. Ma con la prossima settimana tutti i lavoratori rientreranno tutti i giorni, come stabilito dalla delibera della giunta di venerdì scorso. Il lavoro agile, per 3.300 persone, sarà relegato a tre mezze giornate. Perché è vero, «lavorare con questa modalità è fattibile — ammette il responsabile del dipartimento Organizzazione personale e affari generali Silvio Fedrigotti — ma è stata una condizione dettata da un’emergenza: ogni ragionamento sul tema va rimandato a quando la crisi sarà rientrata».
Anche la quasi totalità dei dipendenti nel settore privato ha smesso di lavorare da casa, facendo ritorno alla propria scrivania. Ma i mesi trascorsi sperimentando questa nuova modalità cambieranno l’approccio al mondo del lavoro? Secondo il direttore di Confindustria Trento, Roberto Busato «ci sono alcune cose, dalle riunioni ai viaggi di lavoro, che non torneranno più come prima». Fermo restando che il virtuale non potrà mai soppiantare del tutto il reale. Ma per il direttore degli industriali «il focus si sposterà dal posto di lavoro al lavoro». Dal diritto giuslavorista alla contrattualistica. «Serviranno nuove norme — sostiene — già nei rinnovi contrattuali si sta spingendo per la contrattazione di secondo livello, in modo tale che ogni azienda possa esprimere contrattualmente le proprie esigenze: questo si lega allo sviluppo della conciliazione famiglialavoro e del welfare aziendale».
Insomma, anche se più che «smart» quello effettuato in tempo di Covid è stato «telelavoro, in pochi mesi ha portato a un adattamento digitale superiore a quello degli ultimi cinque anni». Come a dire: indietro non si torna. O perlomeno, solo in parte. «Penso che passata l’emergenza sanitaria si debba rientrare sul posto di lavoro oggi per come siamo organizzati — dichiara Busato — se durante il lockdown tutte le aziende si sono servite dello smart working per quanto possibile, oggi la quasi totalità dei dipendenti nel settore privato è rientrata in ufficio mentre chi ha esigenze particolari, di cura dei figli ad esempio, si avvale di una modalità mista di presenza e smart working». C’è un tassello che secondo il direttore ancora manca nel puzzle del lavoro agile ed è la «capacità di misurare la produttività delle persone che lavorano»: «È una questione di nuova cultura del lavoro — osserva — non ci sarà più un classico orario d’ufficio ma una valutazione in base agli obiettivi raggiunti, all’impegno: il lavoratore dovrà essere in grado di dimostrare quanto ha prodotto. Potrebbe essere uno stimolo per riportare nel nostro Paese la giusta attenzione al tema della meritocrazia».
Riflessioni che per quanto riguarda i dipendenti provinciali andranno rimandate «a quando la crisi sarà rientrata»: «Prima del coronavirus i telelavoratori erano il 10% del totale — spiega Fedrigotti — poi è scoppiata la pandemia e ci ha fatto scoprire che lavorare da casa è fattibile, ma si è trattato di una scelta dettata dall’emergenza: una volta che questa è rientrata si discuterà del tema. Se si trova il mix giusto percentuali significative di smart working potranno anche essere attuate di nuovo». Nel frattempo da lunedì tutti i 3.300 dipendenti della Provincia (che sono 4.300 incluse le categorie operative) rientreranno in ufficio tutti i giorni. Tra marzo e aprile lo avevano fatto solo 2-300 persone.
Un discorso ancora diverso va fatto, secondo Paride Gianmoena, per i 5.500 dipendenti degli enti locali: anche loro stanno progressivamente rinunciando allo smart working. «Che nella fase di emergenza ha permesso di garantire i servizi nonostante tutto — sottolinea il presidente del Consiglio delle autonomie locali — ma non la ritengo una modalità di lavoro normale per quanto riguarda i Comuni: quasi 70, in Trentino, hanno meno di mille abitanti, un esiguo numero di personale e manca un elevato grado di specializzazione. Senza dimenticare il tema della digitalizzazione e soprattutto della complessità del sistema delle norme». Secondo Gianmoena, inoltre, «i Comuni sono presidi del territorio e l’investimento nel capitale umano non può prescindere dalle relazioni». Insomma, smart working sì «ma solo se consente di garantire un servizio migliore e aumentarne la qualità». Con un assunto di base: «Le stesse regole non vanno bene per tutti: ogni Comune deve poter decidere per sé».