Corriere del Trentino

Il papà: temevo uccidesse Christian. Il figlio: non sparategli

Christian: «Ma non desidero che gli orsi vengano uccisi»

- Di Giannanton­io

CLES Il volto stanco di chi non ha dormito tutta la notte e le stampelle a sorreggerl­o. Esce dalla porta di casa, fa pochi passi e si siede sul dondolo da giardino distendend­o con calma la gamba fasciata. L’impronta dei quattro denti dell’orso, da una parte e dall’altra del polpaccio, sono ancora visibili. «Non volevo morire così, ho pensato che avrei fatto una brutta morte — racconta il giorno dopo la terribile esperienza Christian Misseroni, con la voce incrinata, gli occhi lucidi e lunghi secondi di silenzio —. Sono stato fortunatis­simo perché io e mio papà ci siamo difesi l’uno con l’altro, ma se ci fosse stata una persona sola non so cosa sarebbe potuto succedere».

Christian e suo padre Faditi. bio, invece, ce l’hanno fatta. Chiusa la macelleria in paese, a Cles, lunedì pomeriggio, dopo pranzo, erano usciti per fare una gita in montagna. Prima di tornare a casa, nella villetta di via Giuseppe Ruatti, il figlio aveva spinto per andare sul monte Peller. Per fare due passi e arrivare su un punto panoramico che dà sul lago di Verdè, in località Torosi, a circa 1.500 metri di quota. «Non avevo il cane, non avevo bastoni, non avevo la macchina fotografic­a, non avevo il telefono», spiega, ancora incredulo per quello che gli è accaduto, Christian Misseroni, 28 anni, appassiona­to di fotografia e, come il padre, cacciatore e profondo conoscitor­e del Peller. Erano più o meno le cinque del pomeriggio quando l’orso li ha aggre

«Abbiamo lasciato la macchina, abbiamo preso un sentiero e ci siamo inoltrati nel bosco — ripercorre i minuti precedenti all’incontro con il plantigrad­o —. Dopo otto che stavamo camminando, siamo arrivati in una piccola macchia di prato di venti metri quadrati che si apriva nel bosco. Io ero davanti a mio papà, c’era una pianta piccolina a fianco a me. A un certo punto sento un ringhio e non appena mi giro vedo un orso arrivare verso di me che era sbucato da una pianta che si trovava a tre metri di distanza». In quel momento gli si è gelato il sangue, in una frazione di secondo il giovane si è ritrovato a tu per tu con il plantigrad­o. «È stata una cosa talmente fulminea che

non ho fatto neanche a tempo a nasconderm­i dietro la pianta piccolina che mi è saltato addosso. Voleva caricarmi, probabilme­nte mi aveva già sentito. Io sono venuto giù di schiena e l’orso mi è salito sopra».

Il racconto si interrompe per alcuni secondi. Con gli occhi sbarrati e la testa che fa su e giù lentamente come il dondolo, il ragazzo si fissa le mani e rivede con la mente quelle immagini terrifican­ti. «Lui ha cominciato a mordermi — riprende —, la sua faccia era sopra la mia pancia e allora a quel punto ho provato ad allontanar­lo rivolgendo­gli le gambe contro perché se mi avesse preso il collo mi avrebbe ucciso». Non era un cucciolo di orso. «Era quasi sicurament­e un orso adulto, in piedi era più alto di me — dice —. Per due volte ho provato a girargli la faccia con le gambe, ma la seconda volta mi ha preso il polpaccio, senza prendermi l’osso per fortuna. Con la potenza, però, è riuscito a alzarmi di peso e mi ha spostato per due metri».

Pochi attimi dopo è intervenut­o il padre per aiutarlo a svincolars­i. «In quel momento è subentrato mio papà, che voleva difendermi — continua il racconto —. Ricordo che mi ha preso per la maglia per tirarmi indietro e l’orso si è avventato contro di lui con maggior ferocia». Il tutto in due, tre, quattro minuti al massimo. «Mio papà è stato morso alla gamba e gli si è spaccato l’osso in tre parti. Io non sapevo più cosa fare, sono tornato in piedi e mi sono messo a urlare agitando le braccia per farmi più grande. In quell’attimo l’orso ha lasciato la presa da mio padre, che un secondo dopo è riuscito a scivolare fuori dall’orso e saltare in piedi, facendo come me con le braccia. L’orso ha fatto un salto indietro ed è scappato».

Tenendolo a braccetto, Christian ha poi accompagna­to il padre fino alla macchina e alle 18 sono arrivati all’ospedale di Cles. «Quando siamo arrivati lui si è messo a piangere, ha avuto tanta paura per me». Ciononosta­nte, «la montagna è la casa degli animali — conclude il ragazzo —. Non credo sia necessario abbattere gli orsi. Piuttosto penso che ci sarebbe bisogno di una gestione diversa».

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(Pretto) La ferita Il polpaccio di Christian azzannato

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