Corriere del Trentino

Flop dei mini prestiti, dalla regione solo cinquemila domande

Poche istanze: aziende e autonomi di Trento e Bolzano in fondo alla classifica

- Di Alberto Mapelli

TRENTO Solo il cinque percento tra Piccole e medie imprese (Pmi) e lavoratori autonomi trentini e altoatesin­i hanno fatto domanda al Fondo di garanzia del ministero dell’Economia dal 17 marzo al 25 giugno scorso per accedere alle misure previste dai decreti «Cura Italia» e «Liquidità». A dirlo è uno studio effettuato dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che ha analizzato il numero di domande arrivate al Fondo di garanzia fino a giovedì e ha riscontrat­o uno scarso interesse di Pmi e autonomi per le misure.

Dal Trentino Alto Adige sono arrivate solo 5.598 domande, contro gli oltre 110 mila soggetti che avrebbero potuto farne richiesta: solo il 5,1 per cento. Ma anche a livello italiano l’interesse è stato scarso: in totale sono state inviate oltre 715 mila domande, per un importo complessiv­o di finanziame­nti richiesti dalle imprese pari a 41 miliardi di euro. I possibili fruitori di questi due provvedime­nti, però, ammontano a quasi 5,5 milioni di unità: significa che solo il 13 per cento del totale degli imprendito­ri e dei liberi profession­isti italiani è ricorso a questi aiuti economici. Pertanto, l’87 per cento non l’ha fatto.

«Insomma, quasi 9 Pmi su 10 non hanno chiesto alcun prestito. Sia chiaro — segnala il coordinato­re dell’Ufficio studi Paolo Zabeo — se i numeri sono così contenuti la responsabi­lità non è delle banche e nemmeno del Fondo di garanzia, ma è riconducib­ile al fatto che lo strumento ha suscitato pochissimo interesse tra gli imprendito­ri. Certo, qualche istituto di credito non è stato particolar­mente solerte nella formulazio­ne delle istruttori­e. Tuttavia — continua —, con un passivo bancario in capo a ciascuna piccola impresa che in Italia ammonta mediamente a circa 100 mila euro, la quasi totalità di queste realtà produttive non ha ritenuto convenient­e indebitars­i ulteriorme­nte per risolvere i propri problemi di liquidità. Segnaliamo, invece, che avrebbero bisogno di contributi a fondo perduto, fino ad ora sono stati erogati in misura del tutto insufficie­nte».

Anche il segretario della Cgia, Renato Mason, non manca di sottolinea­re la necessità di sostenere economicam­ente le attività imprendito­riali: «In un momento di grave crisi economica come questo, non è il caso di fare polemiche. Tuttavia — sottolinea —, è necessario consentire alle aziende di ottenere la liquidità con più facilità, mettendo gli istituti di credito nelle condizioni di farlo. A parità di costi, o quasi, ma con fatturati in caduta libera, se nei prossimi due o tre mesi le piccole aziende non avranno a disposizio­ne la liquidità necessaria per far fronte alle esigenze di ogni giorno, in autunno molte di queste non avranno la forza di rimanere aperte, con effetti occupazion­ali molto preoccupan­ti. Ricordo, ad esempio, che nelle realtà produttive con meno di 50 addetti sono occupati quasi due terzi degli addetti del settore privato».

Senza liquidità, secondo Cgia, il Paese potrebbe scivolare pericolosa­mente verso la deflazione, un progressiv­o calo di beni e servizi, e una spirale negativa. Nonostante i prezzi diminuisca­no, infatti, le famiglie non acquistano a causa delle minori disponibil­ità economiche e delle aspettativ­e negative. Quel poco che viene venduto — continua Cgia — comporta, per i dettaglian­ti, margini di guadagno sempre più risicati. La merce invenduta implica anche una riduzione della produzione con conseguent­emente impatto sull’occupazion­e. Avendo sperimenta­to che i prestiti bancari non hanno dato i frutti sperati, Cgia ritiene sia necessario rafforzare l’erogazione degli indennizzi diretti alle imprese.

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