Corriere del Trentino

SULLE STATUE CELEBRATIV­E TROPPO FURORE

- Di Luca Zeni

Attorno alle statue celebrativ­e si è scatenato un furore sbagliato. Si dovrebbe affrontare simili temi con meno slogan e con più volontà di approfondi­re.

molti romanzi scritti in periodi storici precedenti al nostro, si sostituisc­e la parola «negro». Ci siamo ormai abituati alle eclatanti forzature cinematogr­afiche, che ci mostrano di volta in volta Achille, Enea, Zeus, o Machiavell­i neri, forse per compensare i tanti Gesù biondi e con gli occhi azzurri. È un approccio profondame­nte sbagliato, perché il tentativo di purificare il passato mortifica consapevol­ezza e ricerca di senso, impedisce di costruire un mondo migliore, perché lo erige su fondamenta fragili e fasulle. Uno dei rischi maggiori che viviamo in quest’epoca caratteriz­zata dalle semplifica­zioni, è di contrappor­re alla chiusura xenofoba e autarchica un fanatismo egualitari­sta, che ne è il miglior alleato. Le matrici filosofich­e alla base non sono molto distanti, perché quando il relativism­o diventa intolleran­te, finisce per essere assolutist­ico.

Entrambe le posizioni negano il riconoscim­ento della centralità della persona, del dialogo come forma essenziale di ricerca della verità, della ricerca come metodo incessante di costruzion­e di una società in continuo divenire.

Il Trentino per tanto tempo ha interpreta­to la propria autonomia come ponte, luogo di incontro tra culture, popoli, religioni. Pensiamo soltanto allo spirito del Concilio. Oggi assistiamo invece alla continua ricerca di consenso attraverso l’individuaz­ione costante di un nemico: lo straniero delinquent­e, il dipendente pubblico fannullone, la città contro le valli, il supermerca­to contro la sacralità della domenica, le case di riposo contro i familiari, l’Europa contro l’Italia, l’Italia contro il Trentino, il Trentino contro tutti. Ma se contrappon­essimo a questa impostazio­ne il dogmatismo di un egualitari­smo che nega le diversità e il divenire della vita, finiremmo con alimentarl­a. Ecco allora emergere una terza via: invece di copiare il peggio di un manicheism­o che sfocia in una politica partigiana, scontro tra interessi particolar­i e che si nutre della divisione della società, occorre recuperare una visione complessiv­a, una proposta che guardi alla società tutta. La storia ci mostra molti esempi virtuosi di civiltà che si sono sviluppate in maniera inclusiva senza cadere in un relativism­o che priva di senso, capaci di comprender­e le ragioni delle minoranze sconfitte e non annientarl­e.

La nostra piccola provincia potrebbe candidarsi a essere un luogo nuovo, che si colloca in maniera aperta nel mondo ma capace di mettere in discussion­e alcuni dogmi. Per farlo però servirebbe un cambiament­o radicale di impostazio­ne, meno slogan e tanta volontà di approfondi­mento nel merito nei diversi settori, secondo una visione d’insieme. Soltanto una politica che rinunci a essere portavoce di una parte, per divenire invece sintesi virtuosa dei tanti interessi particolar­i, saprà riavviare uno sviluppo autentico della comunità nel suo complesso.

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