Corriere del Trentino

«Reddito di cittadinan­za utile, ma va riformato»

Gori (Alleanza per la povertà): «Ridurre le discrimina­zioni e favorire il lavoro»

- Tommaso Di Giannanton­io

Cristiano Gori, docente di Politica sociale all’Università di Trento, responsabi­le scientific­o dell’Alleanza contro la povertà e ideatore del Reddito di inclusione (Reis), è passato poco più di un anno dalle prime domande di richiesta del reddito di cittadinan­za (in Trentino sono state presentate 4.395 istanze, circa lo 0,3 per cento del totale). Secondo le ultime rilevazion­i dell’Istat, nel 2019 in Italia sono 1 milione e 674 mila le famiglie e 4 milioni e 593 mila gli individui in condizione di povertà assoluta. Dopo quattro anni di aumento, per la prima volta è stato registrato un calo. È stata intrapresa la strada giusta?

«La situazione è paradossal­e.

Da una parte la misura poteva essere disegnata meglio e dall’altra parte mai come adesso, con la crisi Covid, abbiamo capito quanto siano importanti le misure a sostegno della povertà. Dunque, per fortuna che c’è il reddito di cittadinan­za, ma adesso va riformato».

In quali aspetti?

«Sono due le principali criticità che il reddito di cittadinan­za già presentava e che ora a maggior ragione devono essere corrette. La prima è che non favorisce l’accesso al reddito delle famiglie numerose, delle famiglie con stranieri, dei non residenti in Unione europea e delle famiglie che vivono nel Nord Italia. La seconda consiste nella difficoltà di coordiname­nto dei servizi sociali dei Comuni con le agenzie del lavoro. Sono aspetti che già prima erano problemati­ci e che ora devono essere necessaria­mente riformati perché il rischio povertà è cresciuto molto con la crisi Covid».

In Italia, secondo la Corte dei conti, solo il 2 per cento delle persone che hanno ricevuto il reddito di cittadinan­za è riuscito a ottenere un lavoro attraverso i centri per l’impiego (circa 20.000 posti di lavoro). In Trentino la percentual­e è leggerment­e migliore: tra l’8 e il 10 per cento su 7.976 beneficiar­i (dati Inps). Perché è così difficile realizzare il percorso di inclusione lavorativa?

«Anche in questo caso sono due i principali aspetti problemati­ci. In primis, le politiche attive del lavoro in Italia sono sempre state molto deboli e quindi è anche inevitabil­e che ci voglia tempo. In più, sotto questo punto di vista, il reddito di cittadinan­za presenta alcuni limiti tecnici. Il secondo aspetto è molto semplice: se non c’è domanda di lavoro, che si crea attraverso macropolit­iche, il soggetto che percepisce il reddito di cittadinan­za ed è stato formato è destinato a rimanere disoccupat­o».

Lei è stato l’ideatore del Reddito di inclusione sociale (Reis), adottato dal governo Gentiloni e poi abolito con l’introduzio­ne del reddito di cittadinan­za. Ci può spiegare la differenza tra le due misure?

«Il Reis metteva il governo del percorso di inclusione sociale e lavorativa in mano ai Comuni, che comunque collaborav­ano con i centri per l’impiego, mentre il reddito di cittadinan­za presenta un sistema di governo più complicato affidato sia ai servizi sociali dei Comuni che alle agenzie del lavoro. Un’altra differenza sostanzial­e è che il Rei non presentava le discrimina­zioni che invece presenta il Reddito di cittadinan­za e aveva una visione multidimen­sionale della povertà».

Il 30 marzo scorso, invece, insieme al Forum disuguagli­anze diversità e Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibil­e, ha presentato la proposta del Reddito di emergenza (Rem), poi inserito nel Decreto Rilancio. Si ritiene soddisfatt­o?

«Il governo ha preso ed attuato la nostra proposta, ma con alcune significat­ive differenze. Noi sostanzial­mente avevamo pensato una procedura molto più semplice per richiedere la prestazion­e».

Ma qual è il giudizio che si sente di dare sul Reddito di cittadinan­za?

«La storia gli ha dato ragione. Oggi è evidente a tutti l’utilità del reddito di cittadinan­za. È molto positivo che il governo abbia fatto un investimen­to così alto, di sette miliardi all’anno, per affrontare il discorso povertà. Adesso però, ripeto, il Reddito di cittadinan­za va riformato: bisogna ridurre le discrimina­zioni e far lavorare meglio agenzie del lavoro e comuni insieme».

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