«Reddito di cittadinanza utile, ma va riformato»
Gori (Alleanza per la povertà): «Ridurre le discriminazioni e favorire il lavoro»
Cristiano Gori, docente di Politica sociale all’Università di Trento, responsabile scientifico dell’Alleanza contro la povertà e ideatore del Reddito di inclusione (Reis), è passato poco più di un anno dalle prime domande di richiesta del reddito di cittadinanza (in Trentino sono state presentate 4.395 istanze, circa lo 0,3 per cento del totale). Secondo le ultime rilevazioni dell’Istat, nel 2019 in Italia sono 1 milione e 674 mila le famiglie e 4 milioni e 593 mila gli individui in condizione di povertà assoluta. Dopo quattro anni di aumento, per la prima volta è stato registrato un calo. È stata intrapresa la strada giusta?
«La situazione è paradossale.
Da una parte la misura poteva essere disegnata meglio e dall’altra parte mai come adesso, con la crisi Covid, abbiamo capito quanto siano importanti le misure a sostegno della povertà. Dunque, per fortuna che c’è il reddito di cittadinanza, ma adesso va riformato».
In quali aspetti?
«Sono due le principali criticità che il reddito di cittadinanza già presentava e che ora a maggior ragione devono essere corrette. La prima è che non favorisce l’accesso al reddito delle famiglie numerose, delle famiglie con stranieri, dei non residenti in Unione europea e delle famiglie che vivono nel Nord Italia. La seconda consiste nella difficoltà di coordinamento dei servizi sociali dei Comuni con le agenzie del lavoro. Sono aspetti che già prima erano problematici e che ora devono essere necessariamente riformati perché il rischio povertà è cresciuto molto con la crisi Covid».
In Italia, secondo la Corte dei conti, solo il 2 per cento delle persone che hanno ricevuto il reddito di cittadinanza è riuscito a ottenere un lavoro attraverso i centri per l’impiego (circa 20.000 posti di lavoro). In Trentino la percentuale è leggermente migliore: tra l’8 e il 10 per cento su 7.976 beneficiari (dati Inps). Perché è così difficile realizzare il percorso di inclusione lavorativa?
«Anche in questo caso sono due i principali aspetti problematici. In primis, le politiche attive del lavoro in Italia sono sempre state molto deboli e quindi è anche inevitabile che ci voglia tempo. In più, sotto questo punto di vista, il reddito di cittadinanza presenta alcuni limiti tecnici. Il secondo aspetto è molto semplice: se non c’è domanda di lavoro, che si crea attraverso macropolitiche, il soggetto che percepisce il reddito di cittadinanza ed è stato formato è destinato a rimanere disoccupato».
Lei è stato l’ideatore del Reddito di inclusione sociale (Reis), adottato dal governo Gentiloni e poi abolito con l’introduzione del reddito di cittadinanza. Ci può spiegare la differenza tra le due misure?
«Il Reis metteva il governo del percorso di inclusione sociale e lavorativa in mano ai Comuni, che comunque collaboravano con i centri per l’impiego, mentre il reddito di cittadinanza presenta un sistema di governo più complicato affidato sia ai servizi sociali dei Comuni che alle agenzie del lavoro. Un’altra differenza sostanziale è che il Rei non presentava le discriminazioni che invece presenta il Reddito di cittadinanza e aveva una visione multidimensionale della povertà».
Il 30 marzo scorso, invece, insieme al Forum disuguaglianze diversità e Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, ha presentato la proposta del Reddito di emergenza (Rem), poi inserito nel Decreto Rilancio. Si ritiene soddisfatto?
«Il governo ha preso ed attuato la nostra proposta, ma con alcune significative differenze. Noi sostanzialmente avevamo pensato una procedura molto più semplice per richiedere la prestazione».
Ma qual è il giudizio che si sente di dare sul Reddito di cittadinanza?
«La storia gli ha dato ragione. Oggi è evidente a tutti l’utilità del reddito di cittadinanza. È molto positivo che il governo abbia fatto un investimento così alto, di sette miliardi all’anno, per affrontare il discorso povertà. Adesso però, ripeto, il Reddito di cittadinanza va riformato: bisogna ridurre le discriminazioni e far lavorare meglio agenzie del lavoro e comuni insieme».