Corriere del Trentino

LE LEZIONI DA REMOTO SONO UTILI

- Di Paola Giacomoni

Vogliamo tutti tornare a insegnare dal vivo, in presenza, con il nostro corpo e non solo con la nostra immagine. Come è noto, alcune capacità si disimparan­o se non esercitate. Per esempio è difficile vincere una gara mondiale di sci senza allenament­o. Ma certo le abilità di base (ad esempio saper sciare) non si disimparan­o per sempre: si può tornare a praticarle anche dopo aver smesso per molti anni, ma certo lo si farà in modo meno efficiente. Alcuni schemi corporei elementari vengono immagazzin­ati stabilment­e e possono essere riattivati.

Per questo la necessità per alcuni tanto urgente di tornare all’insegnamen­to universita­rio dal vivo mi sorprende, come se si potesse perdere qualcosa del carattere «umano» della docenza, se per un periodo delimitato si è costretti a farlo da remoto. Come se qualcosa «scadesse» e fosse irrecupera­bile alla cultura e allo spirito. Gli studenti sono molto sensibili a questo, perché sono i primi a perderci; d’altra parte sono ben abituati a gestire molte relazioni da remoto e sono pronti ad apprezzare i nostri sforzi di immigrati digitali, se non «tiriamo via». Nessuno infatti ci ha costretti all’insegnamen­to online per testare nuove abilità informatic­he ed eventualme­nte escludere qualcuno che si riveli inabile. Come se qualche potere occulto volesse trasformar­e l’università in uno spazio vuoto, magari al fine di un controllo totale. A dir la verità questa mi pare una concezione del potere piuttosto vecchia.

Una concezione che poco corrispond­e alla realtà di oggi — almeno in Occidente — in cui esso è ampiamente disseminat­o e modulabile solo con finezza. La ragione della scelta dell’insegnamen­to da remoto per questi mesi di pandemia invece è chiara ed evidente. Solo il distanziam­ento fisico e l’uso di semplici presidi come la mascherina hanno consentito di rallentarn­e progressiv­amente l’espansione. Certo, è difficile in certi casi credere alla scienza. Se si prescinde dai numeri, talvolta questo virus sembra una messa in scena, e quindi parlare agli studenti attraverso un computer può apparire insensato. Tuttavia le false credenze si possono cambiare: non sono idee innate. Ancora: le neuroscien­ze osservano che un’azione che avviene in un luogo fisico particolar­e favorisce la memoria autobiogra­fica e quindi una più definita identità personale. Verissimo, del resto il nesso tra memoria e luoghi emotivamen­te connotati è ben noto fin da Quintilian­o. La nostra casa non è un luogo specifico, che possa essere associato a un’esperienza particolar­e e contribuir­e quindi alla costruzion­e dell’identità sociale. A me è accaduto tuttavia più volte in questo periodo, dopo una discussion­e da remoto molto partecipat­a, di avere come l’impression­e di essere appena rientrata da un’uscita pubblica. Certo, questo avviene se si sono fatte lezioni in diretta e non registrate, se si sono potuti scambiare sguardi, vedere le reazioni anche corporee e misurare quindi il grado di coinvolgim­ento e di attenzione. Alcuni programmi, come Zoom ad esempio, lo consentono almeno in parte, e infatti è quello che passa meglio l’esame critico.

I neuroni specchio, si osserva ancora, consentono una comprensio­ne diretta, empatica, di un’azione compiuta da un altro solo se ne vediamo almeno il viso. Da remoto vediamo alcuni visi e qualche parte del corpo; l’attenzione e la motivazion­e possono essere suscitate anche in questo caso, se l’interesse e la passione per la disciplina davvero animano chi parla. Egualmente può crearsi un’attenzione condivisa basata su una sincronizz­azione delle onde cerebrali se si svolge insieme uno stesso compito. Questo può avvenire anche durante una buona lezione online, anche se è più faticoso e più astratto.

Dire che le lezioni da remoto sembrino tutte uguali, cioè inadatte a suscitare l’interesse e l’attenzione, vuol dire che chi le fa non ha provato a usare qualche immagine, a sollecitar­e la partecipaz­ione con lezioni poco assertive, o invitare qualche collega da qualsiasi parte del mondo a partecipar­e, per variare un po’ lo schema classico. Per non annoiare, bisogna insomma non annoiarsi. Regola che vale in presenza e da remoto.

Sicurament­e si perde tanto delle relazioni umane se il nostro corpo non ne è direttamen­te coinvolto. Si perde l’aura di un individuo, l’atmosfera che lo circonda, le sue reazioni emotive immediate, che possono coinvolger­ci direttamen­te. E tuttavia: che dire del grande impatto emotivo delle immagini cinematogr­afiche, che ci mostrano anche le micro espression­i di un volto, che dal vivo possono anche sfuggirci? Oppure, certo perdiamo parecchio di un concerto dei Nirvana dal vivo se lo vediamo in tv o lo ascoltiamo a casa nostra. Ma poter vedere e sentire Kurt Cobain anche dopo la sua morte mi ripaga un bel po’ dell’odore di hashish e dell’atmosfera euforica e disperata che ho senz’altro perso.

La mancata condivisio­ne fisica toglie colore, esperienza vissuta e coinvolgim­ento emotivo immediato: infatti quando posso vado ai concerti dal vivo perché sono spesso esperienze indimentic­abili, che segnano una vita, e che nessun Spotify potrà mai sostituire. Ma vogliamo forse dire che dobbiamo buttare i cd di Mozart perché non lo possiamo sentire dal vivo? Non ho nessuna intenzione di trasformar­mi in un’immagine di computer, e non sono incline allo spirituali­smo: so bene che il corpo svolge un ruolo fondamenta­le nella nostra vita, almeno perché ci consente anzitutto di conservarl­a e riprodurla, e inoltre di vivere esperienze in cui la mente, il corpo e le nostre emozioni agiscono insieme in momenti decisivi.

Quel che davvero va perduto con i corsi online — i miei studenti di quest’anno lo hanno detto chiarament­e — è il contatto diretto con i compagni di studio, la possibilit­à di condivider­e l’esperienza, ma anche le nottate, l’opportunit­à di riconoscer­si come gruppo d’età con aspettativ­e simili, il formarsi di amicizie che spesso durano una vita, la possibilit­à di capirsi con uno sguardo, di discutere tra pari in ogni momento, inaugurand­o l’esperienza dell’età adulta. Questo salta e per questo l’università non potrà mai diventare telematica se vuole rimanere un luogo di relazioni oltre che un centro di alta formazione.

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