Don Farina: «Cari trentini, non siate servi»
Don Farina riceverà il sigillo della città: «Ho imparato tutto dai miei studenti»
L’Aquila di San Venceslao sarà consegnata giovedì prossimo a don Marcello Farina a palazzo Geremia: «Dedico questa onorificenza a tutti coloro a cui ho voluto bene e ai cittadini di Trento».
L’Aquila di San Venceslao, il sigillo della città di Trento, sarà consegnata il 23 luglio a don Marcello Farina (80 anni). A palazzo Geremia si terrà la cerimonia ufficiale: «Dedico questa onorificenza a tutti coloro a cui ho voluto bene, e sono davvero tanti. E la dedico ai cittadini di Trento, con l’augurio di essere liberi, di non essere mai servi».
Lei è originario delle Giudicarie.
«Ma sono a Trento da molto tempo, da più di 50 anni. Tanto tempo in cui ho svolto ruoli diversi, accomunati però dalla stessa missione, quella dell’insegnamento».
Nella vita però non ha fatto soltanto l’insegnante. Dopo la laurea in filosofia a Padova, presa di nascosto, chiese alla Diocesi di poter partecipare a un concorso per insegnare nella scuola pubblica. Come risposta, le tolsero anche le ore come docente di religione: cosa fece?
«Il barista a Martignano. Ero senza stipendio, qualcosa dovevo fare, e così ho fatto caffè e cappuccini. Che bella esperienza: anche in un bar percepisci le anime di chi incontri».
Con la Curia non vi siete mai capiti. È forse per questo che non gli è mai stato dato nessun ruolo?
«Ma no, diciamo che hanno sempre fatto finta di niente, lasciandomi al mio destino. Qualcuno magari sperava anche che un giorno mi spretassi, poi alla fine hanno imparato a sopportarmi. Ma non è vero che non ho avuto incarichi: per 10 anni sono stato assistente della Fuci (l’associazione degli studenti universitari cattolici, ndr) e sono tuttora assistente degli artisti cattolici».
In molti si ricordano di lei come insegnante di filosofia al liceo.
«Liceo, scuole medie e elementari, università e anche università della Terza età. Mi mancano soltanto le materne. Ho incontrato tante persone, ho comunicato ininterrottamente per tutta la mia vita, ho incontrato le genti più disparate e questa è la cosa più bella, la più cara».
Cosa porta con sé di tutti questi anni da insegnante?
«Quello che ho ricevuto è molto di più di quello che ho dato. Sono loro, i miei studenti, quelli che mi hanno educato. Da loro ho imparato tanto, dai più piccoli fino ai più anziani. Sono stato fortunato: a contatto con tutti, nella scuola ma anche in altre varie situazioni, dai matrimoni ai momenti più delicati come i funerali».
Lei ha sempre avuto un rapporto importante anche con chi non ha il dono della fede. Per questo la chiamano spesso anche per officiare i funerali laici?
«Quello che conta è l’umanità. La fede è una parte dell’esperienza che non è detto sia quella decisiva. È davvero l’umanità che conta, e per mia fortuna non ho mai escluso amicizie e rapporti sulla base della fede: mi sarei perso qualcosa di enormemente grande».
Quando predicava in Duomo, la domenica sera, la chiesa era affollatissima. La Diocesi mise fine a questa esperienza perché qualcuno sosteneva che i fedeli venissero in chiesa per lei, non per la messa. Come mai c’è sempre tanta gente ad ascoltarla?
«Parto dalle situazioni concrete, ancora una volta dall’umanità. E su questo cerco di spiegare il Vangelo, perché senza umanità il Vangelo non ha niente da dire, perché la stessa vita di Gesù più che religiosa è una vita umana. A lui degli aspetti religiosi interessava ben poco».
L’altra sua grande passione, la filosofia. Con cui approfondisce anche i temi più delicati, spesso in contrasto con l’opinione di una parte della Chiesa.
«L’idea di portare tutto il discorso alla fede è uno sforzo sciocco, inutile. Occorre lasciare alle persone la libertà, renderle curiose e capaci di aprire orizzonti, di domandarsi il senso di quello che stanno facendo. Su tutti i temi: anche quelli più delicati, e senza più dire che ci sono valori non negoziabili. Solo l’amore non è negoziabile, da qualsiasi parte venga».
Giovedì 23 le consegnano il più alto riconoscimento della città, il suo sigillo, l’Aquila di San Venceslao. A chi lo dedica?
«Citando don Lorenzo Guetti, che diceva che siamo troppo abituati a servire, dedico questo onore ai trentini, affinché imparino a non essere mai servi, imparino la libertà nei confronti di tutti, del potere e della morale».
Un altro don Lorenzo, Lorenzo Milani, in punto di morte ha detto ai suoi studenti che ha voluto più bene a loro che a Dio. È d’accordo?
«Ma è ovvio, perché la figura di Dio è nel prossimo. I primi due comandamento andrebbero invertiti: “Ama il prossimo tuo è sommamente il più importante”».
Il monito ai concittadini L’Aquila è per i trentini, affinché non siano servi e imparino la libertà nei confronti di tutti, del potere e della morale