Sul Campanil Basso pensando alla nonna Ecco come è nata la via «Destràni»
TRENTO Quando una cima è bella anche solo da contemplare, senza bisogno di arrivare in vetta, significa che davvero ci si trova di fronte a un luogo magico. Il Campanil Basso è indiscutibilmente caro ai trentini, ma il suo fascino negli anni ha stregato i locali così come alpinisti venuti da lontano. I primi a riuscire nella scalata di quest’angolo del Brenta che sfiora i 2.900 metri — dopo il tentativo eroico di Nino Pooli e Carlo Garbari — furono Otto Ampferer e Karl Berger nel 1899, ma in poco più di cento anni moltissimi altri scalatori di fama mondiale hanno messo la propria firma sul Basso disegnando una nuova via: Fehrmann, Preuss, Graffer, Fox, Aste, Maestri. Sono solo alcuni dei nomi illustri, ma l’elenco potrebbe proseguire e la roccia di questa guglia offre ancora nuove possibilità a un occhio attento.
Alessandro Beber, nonostante sia poco più che trentenne, è una giovane guida alpina che nutre grande sensibilità per la storia di quei luoghi e qualche mese fa è riuscito ad aprire una via nuova, logica e di grande soddisfazione, sulla parete nord. L’itinerario si chiama Destràni, che in dialetto trentino vuol dire nostalgia. «La via — spiega Beber — è dedicata a mia nonna, Maria Oss Pegorar, a cui ero molto legato. Avevo già adocchiato la linea qualche anno prima e rispondeva ai requisiti che ritengo necessari per tracciare in un ambiente del genere. Sono valori che ho fatto miei dalle considerazioni di un amico alpinista: quando ci si muove su una parete come il Basso, secondo me, una nuova via non deve intersecare quelle esistenti, deve avere comunque una linea logica e deve essere aperta in armonia con quello che la circonda».
Alessandro non ha nemmeno preso in considerazione l’uso degli spit, piantando pochi chiodi nei punti strettamente necessari e assicurandosi per il resto con protezioni veloci: «Ci sono vari modi per giungere alla prima lunghezza, che parte dallo Stradone Provinciale. Noi siamo saliti dall’attacco Scotoni. La nuova via vera e propria ha uno sviluppo che supera di poco i cento metri. La roccia è fantastica, per un’arrampicata moderna, piacevole».
La Destràni, che sale con eleganza tra lo spigolo Graffer e la Maestri, non è per tutti (VII+) e non è la prima via tracciata da Beber sul Campanil Basso: «A me piace molto esplorare e nel 2014 avevo già aperto la via Attraverso il tempo (anche in quell’occasione con Faletti, ma con Baù invece di Canale, ndr) sulla parete sud. Faceva parte di un progetto che voleva celebrare il 150esimo della prima traversata del Brenta. Siamo riusciti a trovare un itinerario che corre vicino a vie grandiose come la Fehrmann, è stato molto bello».
Nel 1864 l’inglese John Ball, accademico, botanico e glaciologo documentò l’attraversamento del massiccio dolomitico, guidato dai fratelli di Molveno Bonifacio e Matteo Nicolussi, che come molti altri «colleghi» del tempo erano cacciatori e pionieri della professione di guida alpina. Nonostante sia passato più di un secolo e mezzo, Alessandro è convinto che il tempo delle scoperte non sia finito. «Sono un grande sostenitore
— osserva la guida alpina — dell’avventura dietro casa, soprattutto se si ha la fortuna di avere una montagna come il Brenta a disposizione, che per la sua conformazione presenta una moltitudine di angoli magici e di opportunità nascoste». Non bisogna per forza scalare per godere della magia di quei luoghi. «Io per esempio — racconta — sono molto affezionato alla Busa degli Sfulmini. All’alba in particolare, quando il sole sorge sulle pareti, diventa uno spettacolo che non è possibile descrivere con parole adatte, bisogna viverlo».
Le Dolomiti, e in particolare il Brenta per la sua accessibilità, sono al centro dell’attenzione dell’uomo da tempi antichi e oggi sono parte di un difficile equilibrio tra la conservazione del territorio e lo sviluppo del turismo: «Questa è una zona tutelata, ma fino a un certo punto. Lo è sicuramente di più rispetto ad altre parti del mondo, ma alcune volte anche da noi gli interessi di un certo tipo prevalgono» sottolinea ancora Beber.
Come detto sopra, Alessandro ha dedicato la nuova via alla memoria della nonna, che non era una scalatrice ma aveva la tempra forte delle donne e degli uomini di un tempo: «Era emigrata in Brasile, poi tornò. Visse sulla sua pelle il periodo della guerra e come molte persone di quel tempo, era allenata dalla vita stessa a superare le difficoltà. I nostri nonni non dovevano andare alla ricerca delle sfide perché già la loro esistenza era fatta di prove da superare». La passione di Beber non arriva da un dna di scalatori, ma è la risposta a un’esigenza interiore che ha trovato soddisfazione nell’ambiente circostante: «Non ci sono alpinisti nella mia famiglia, il mio amore per questa attività è arrivato da solo, intorno agli 1112 anni e ho dovuto semplicemente assecondarlo».
Il gusto di Alessandro per la scoperta nasce da una conoscenza appassionata della storia del nostro alpinismo, che ha tradotto anche in un progetto video chiamato DoloMitiche. Nato appunto per scoprire alcune delle vie che hanno fatto la storia dell’arrampicata nelle Dolomiti, riprenderà a breve: «La prima serie era ambientata in Trentino perché sono i nostri luoghi di origine e per ragioni legate al marketing. Ora però ho fatto un crowfunding e potremo spaziare su nuovi orizzonti. Le prime uscite saranno in Moiazza e in Friuli».
Alessandro Beber
Era emigrata in Brasile, poi tornò. Visse sulla sua pelle il periodo della guerra e come molte persone di quel tempo, era allenata dalla vita stessa a superare le difficoltà