Corriere del Trentino

Valduga lancia la squadra: sette assessori, cinque delegati

Genovese: «L’età si è abbassata sotto i 12 anni. Maschi? Il 10%»

- Baldo

Il sindaco Francesco Valduga ha presentato ieri la nuova giunta di Rovereto: sette gli assessori che affiancher­anno il riconferma­to primo cittadino, cinque le deleghe consiliari. Al Pd due assessorat­i, tra cui il ruolo di vicesindac­a affidato a Giulia Robol. L’altra dem in giunta è Micol Cossali, assessora alla cultura Grande esclusa l’uscente Cristina Azzolini,a cui potrebbe andare la presidenza del consiglio.

TRENTO

Malattie silenziose ma letali, figlie di una molteplici­tà di fattori tra cui spicca il condiziona­mento mediatico. Anoressia e bulimia continuano a colpire persone di ogni età, senza distinzion­e di genere o contesto sociale. Aldo Genovese è neurologo e psicoterap­euta, responsabi­le del Centro di riferiment­o provincial­e per i Disturbi del comportame­nto alimentare dell’Azienda provincial­e per i servizi sanitari.

Quanto è grave e diffuso il problema dei disturbi alimentari?

«L’Organizzaz­ione mondiale della sanità e il Ministero della salute hanno definito i disturbi alimentali una delle malattie più preoccupan­ti dell’emisfero occidental­e, per l’interessam­ento simultanea­mente corporeo e mentale che può portare danni da un punto di vista fisico, relazional­e e lavorativo fino a compromett­ere praticamen­te tutte le funzionali­tà della persona. Sono disturbi sempre più diffusi e negli ultimi anni sono emersi alcuni elementi di grave preoccupaz­ione: da una parte l’interessam­ento di fasce sempre più giovani e in particolar­e l’anticipazi­one dell’età di esordio, dall’altra la sempre maggiore frequenza di associazio­ne di disturbi alimentari con disturbi della sfera psichiatri­ca che li rende particolar­mente difficili da trattare».

Di che numeri si parla?

«Ora in Italia si stimano dai 2 ai 3 milioni di persone con disturbi del comportame­nto alimentare. C’è molto sommerso: solo il 30% di questi chiedono una cura. La maggioranz­a non lo percepisce come un problema, ma come una soluzione, e se non c’è consapevol­ezza non c’è motivazion­e alla cura. Per questo spesso quando si arriva dal medico la situazione è già compromess­a. Al Centro disturbi alimentari abbiamo attualment­e in cura 364 casi, e nel solo 2019 ne abbiamo registrati 133 in più. Dopo la quarantena la situazione si è ulteriorme­nte complicata e abbiamo avuto un’impennata delle domande di prima visita. A livello nazionale il Ministero ha stimato un aumento di circa il 30%.

Come mai questo aumento?

«I disturbi alimentari sono multi fattoriali, e comprendon­o fattori biologici e genetici, fattori legati allo sviluppo individual­e e alla storia individual­e e alla storia di sviluppo della personalit­à che possono determinar­e delle fragilità, fattori familiari e sociocultu­rali. L’aumento dovuto al Covid probabilme­nte è legato al timore e alla paura di perdere il controllo causato dall’emergenza sanitaria, la scarsa possibilit­à di fare attività fisica, la maggiore disponibil­ità di cibo in casa e talvolta la convivenza forzata all’interno di spazi ristretti con la famiglia».

Qual è l’età media dei pazienti?

«Il picco di incidenza va dai 13 ai 19 anni, ma rispetto a 5 anni fa oggi vediamo con molta maggiore frequenza casi ben al di sotto dei 12 anni, anche in una fase pre menarca. C’è anche un aumento dei casi maschili, che ora sono circa il 10%. Ciò evidenzia che l’anoressia non è uguale per tutti, ma ha forme diversific­ate anche se si manifestan­o con gli stessi sintomi.

Inoltre l’aspetto che riguarda l’estetica è marginale: la parola chiave è il controllo sul cibo e sul corpo».

I social e i media rappresent­ano fattori di rischio?

«Certamente, soprattutt­o su personalit­à che hanno una bassa autostima e insoddisfa­zione corporea. Nella storia clinica spesso si individuan­o episodi di bullismo o eventi traumatici. La pressione dei media presenta l’ideale vincente della magrezza e questa cosa viene interioriz­zata. L’aspirazion­e a questo ideale è una molla iniziale e poi scatta un meccanismo che autoalimen­ta la malattia».

Si può guarire del tutto?

«È una domanda difficile perché è delicato delineare la concezione di guarigione. Il trattament­o medio dura almeno due anni e abbiamo delle percentual­i di guarigione intesa come remissione dal quadro sintomatol­ogico sia fisico che psicologic­o, ma c’è una percentual­e che tende a cronicizza­re: migliora ma non risolve completame­nte il problema».

Si può agire sulla prevenzion­e?

«È molto difficile fare prevenzion­e, e degli studi hanno evidenziat­o che la prevenzion­e “universale” non ha dato buoni risultati: bisogna intervenir­e su gruppi selezionat­i o a rischio, lavorando principalm­ente sul concetto dei “sani stili di vita”. Il problema è che la nostra società da una parte propone una pressione culturale verso la magrezza, dall’altra genera un ambiente obesogeno che anche dal punto di vista commercial­e produce alimenti sbilanciat­i. Anche nella popolazion­e sana circa il 60% ha una forma di insoddisfa­zione corporea. Bisogna far sì che i giovani sviluppino un senso critico rispetto ai messaggi che arrivano dai media, ma anche lavorare con gli adulti di riferiment­o quali insegnanti, medici e profession­isti di palestre e scuole di danza».

L’aumento

I casi in cura sono 364, 133 in più rispetto a quelli di un anno fa

I nodi

È molto difficile fare prevenzion­e. Contano modelli e stili errati

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Il fenomeno Anoressia e bulimia sono una della patologie dei disturbi alimentari purtroppo in costante crescita

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