«Stranieri spesso ricattabili»
TRENTO
Da un lato gli appostamenti e le intercettazioni ambientali dei Ros dei carabinieri e dall’altro, altrettanto silenziose e percorrenti un binario parallelo, le indagini patrimoniali degli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Trento. «Indagini obbligatorie perché dobbiamo togliere il polmone operativo alla criminalità organizzata», ha affermato il procuratore capo di Trento Sandro Raimondi. E così, seguendo le tracce del denaro, i finanzieri trentini sono arrivati a togliere il respiro alla presunta «locale» di ‘ndrangheta attiva in val di Cembra. Che, tra immobili, macchinari e società (sei delle quali con sede in Trentino), aveva accumulato un patrimonio di oltre 5 milioni di euro.
Accanto quindi all’esecuzione delle misure cautelari nei confronti delle diciannove persone coinvolte nell’operazione «Perfido», nei giorni scorsi oltre quaranta finanzieri trentini — in collaborazione con altri quaranta militari appartenenti a reparti di altre province — hanno sequestrato i beni a disposizione dei presunti mafiosi.
«Partendo dalle evidenze investigative dei carabinieri — ha ricostruito ieri mattina in conferenza stampa il tenente colonnello Francesco Sodano, alla guida del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Trento — abbiamo iniziato a fare riscontri di natura tributaria: siamo andati guardare i redditi delle persone fisiche e dei nuclei familiari e abbiamo analizzato le società, verificando se fossero governate formalmente dagli stessi soggetti oppure se ci fossero dei prestanome».
Un’indagine certosina che in due anni ha permesso di ricostruire la rete patrimoniale dei componenti del presunto sodalizio mafioso, dei loro familiari e dei prestanome, per un totale di 112 persone fisiche e 36 persone giuridiche. Uno screening investigativo che è riuscito a captare, tra le altre cose, informazioni reddituali, societarie, sui beni di lusso e sulle operazioni finanziarie sospette.
Un’enorme mole di dati (raccolti per l’arco temporale che parte dal 2010 e arriva a oggi) che è stata poi elaborata attraverso l’applicativo «Molecola», un data base investigativo che incrocia tutte le informazioni a disposizione e permette di far emergere le «incoerenze patrimoniali». Ossia «il profondo scostamento tra quelli che dovrebbero essere i redditi dichiarati e il reale tenore di vita degli indagati», ha spiegato il tenente colonnello Sodano.
Da qui, infine, il sequestro dei beni (mobili o immobili) che erano nella effettiva disponibilità delle persone arrestate, che secondo gli inquirenti farebbero parte di una «locale» di ‘ndrangheta che è riuscita a infiltrarsi nell’economia trentina, e non solo.
In primis, infatti, tra i beni sequestrati, ci sono le società controllate direttamente o indirettamente dai sodali, perlopiù operanti nel settore del porfido ma anche del trasporto merci, del noleggio di macchine e attrezzature edili, fino ad arrivare all’allevamento di bestiame. In totale sono quindici, di cui sei società con sede in Trentino: a Lona Lases si trovano la «Pietre Naturali Macheda srl» di Innocenzio Macheda (il presunto capo della locale), la «Porfidi Lases srls» di Pietro Battaglia (ex consigliere comunale del comune cembrano), la «Mustafa stone projects» e l’«Inter stone sas» di Mustafa Arafat (considerato il braccio armato del gruppo), poi a Gardolo compare la «Soluzione ponteggi srl» di Demetrio Costantino e a Trento la «Selit scarl» di Domenico Morello.
Le altre società, invece, hanno sede in provincia di Verona, di cui due riconducibili a Giuseppe Battaglia (già assessore alle cave del Comune di Lona Lases) e una Domenico Morello, e poi a Padova (1), Roma (4) e in provincia di Reggio Calabria (1). Tra i beni sequestrati ci sono anche 7 immobili siti a Roma, 18 automezzi (tra i quali auto di lusso come tre Range Rover e una Mercedes), 6 macchine da cantiere e 18 conti correnti, che i finanzieri stanno finendo di «congelare» proprio in queste ore. Un’analisi dei saldi e dei movimenti bancari sarà possibile solo nelle prossime settimane.