«La corruzione è molto efficace Le cene? Ricerca di legittimazione»
Nicaso sulla locale della val di Cembra «Tipica strategia della ‘ndrangheta»
Strategie
È molto più facile rilevare un’azienda in difficoltà che passare per l’iscrizione alla camera di commercio
Ambiguità
Cene con politici, forze dell’ordine magistrati? I mafiosi vanno alla ricerca della legittimazione
«La corruzione è molto più efficace della pistola». Ma spesso a livello giurisprudenziale «la forza intimidatrice del vincolo associativo passa solo per la violenza praticata, senza considerare quella percepita». La stessa che secondo gli inquirenti avrebbe messo in campo anche la presunta «locale» di‘ndrangheta di Lona Lases. Che «presenta tutte le caratteristiche della strategia di espansione della ‘ndrangheta» sostiene Antonio Nicaso, docente di Storia sociale della criminalità organizzata alla Queen’s University di Kingston, tra i massimi esperti al mondo di ‘ndrangheta.
Professore, in un’intervista al Corriere del Trentino spiegava che «nel momento in cui un gruppo mafioso riesce a infiltrarsi nelle istituzioni e a trovare delle sponde, allora si chiude il cerchio e si parla di radicamento». Nell’ambito dell’inchiesta «Porfido» si può parlare di radicamento in val di Cembra?
«Se riusciranno a dimostrare i rapporti con i vari livelli amministrativi si può dire che il cerchio si sia chiuso. Ci sono due livelli di radicamento. Il primo è quello del condizionamento della manodopera e dell’alterazione delle regole del mercato con una strategia tesa al monopolio del settore. E poi il secolo livello è quello di creare le condizioni per poter condizionare l’esito delle elezioni amministrative. Quando avviene questo passaggio non si può più parlare di infiltrazioni mafiose ma di radicamento».
Può spiegarci in che modo gli imprenditori mafiosi riescano a acquisire una società, spremerla fino al fallimento e poi acquisire altre aziende senza essere scoperti?
«Questa è una strategia tipica di aggressione del territorio: è molto più facile rilevare un’azienda in difficoltà economica e poi eventualmente cambiarne la ragione sociale invece che passare per l’iscrizione alla camera di commercio».
Quale potrebbe essere l’antidoto?
«Bisognerebbe ragionare molto di più in termini di monitoraggio del territorio. Cioè: creare rapporti molto più strutturati con le camere di commercio e cercare di avere segnalazioni in tempo reale sui passaggi di proprietà e sui cambiamenti della compagine delle società. Una strada che deve essere percorsa senza soluzione di continuità».
Dall’inchiesta emerge che alcuni dei presunti sodali cercavano di avvicinarsi a figure istituzionali come politici, magistrati, uomini delle forze dell’ordine e medici. È così alta la capacità di mimetizzarsi dei mafiosi?
«Tutti possono cadere in una trappola del genere. I mafiosi vanno alla ricerca della legittimazione, che spesso può nascere anche inconsapevolmente. È un modo per accreditarsi sul territorio e se riescono nel loro intento significa che hanno messo in piedi una macchina perfetta. L’opera di mimetizzazione è una strategia perfetta per espandersi, e nel caso del Trentino noto una strategia più raffinata perché si è arrihashish, vati a assumere il controllo del territorio in maniera quasi silente approfittando anche della sottovalutazione degli organi inquirenti».
A dicembre lei era stato invitato al Casinò Municipale di Arco assieme al procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, per presentare il vostro libro «La rete degli invisibili». La serata era stata organizzata dall’ex deputato Mauro Ottobre, oggi indagato per scambio elettorale politico-mafioso nell’inchiesta Porfido. Che effetto le ha fatto sapere di questa notizia?
«Devo dire che io non conoscevo l’ex parlamentare. La Mondadori aveva organizzato questa iniziativa a Arco e a Rovereto per promuovere il libro. In quell’occasione avevamo anche messo in evidenza il rischio delle infiltrazioni mafiose nel settore del porfido e l’ex parlamentare aveva parlato della ‘ndrangheta come il più grande problema dell’Italia. Per una questione umana mi auguro che quelle parole fossero vere».
Nell’inchiesta «Freeland», invece, l’ipotesi di una «locale» a Bolzano è stata indebolita dopo due settimane dall’arresto delle 20 persone coinvolte. Il tribunale del riesame di Trento ha infatti annullato le ordinanze di custodia cautelare limitatamente all’accusa di associazione di stampo mafioso. Dimostrare la presenza di un gruppo mafioso sta diventando più complicato?
«Il problema è legato al cambiamento del cosiddetto genoma mafioso. Vista la potenza economica che riescono a assumere, i gruppi mafiosi tendono a fare meno uso della violenza, che è una componente fondamentale ma se possono evitarla è meglio. La corruzione è infatti molto più efficace della pistola e in molte occasioni basta far percepire la violenza. A livello giurisprudenziale, invece, spesso domina l’interpretazione che la violenza non deve essere solo percepita ma deve essere per forza praticata per poter documentare la forza intimidatrice del vincolo associativo. Bisognerebbe forse fare una riflessione a livello normativo e svecchiare l’articolo 416 bis».