RICERCA, PRIORITÀ POLITICA
Ci voleva Covid-19, la grande peste del 21° secolo, a riportare in primo piano la ricerca. Mai come in questo strano e tormentato periodo si sono visti in carne e ossa scienziati, ricercatori e studiosi che hanno cercato di spiegare, interpretare e prevedere l’evoluzione di questa crisi sanitaria. Forse troppo, si dirà, perché molto spesso i loro pareri erano contrastanti e non sempre ben formulati. Ma anche gli scienziati sono esseri umani come tutti gli altri e la ricerca, come tutte le altre attività, non è infallibile. Detto questo, la ricerca è diventata popolare anche perché percepita come utile. Basti pensare nel piccolo territorio della nostra Provincia al ruolo svolto dal Cibio nel processare i tamponi all’inizio della pandemia. Eppure non sempre la ricerca è stata vista come elemento essenziale della nostra società. In Italia, in particolare, la spesa nel settore è stata da sempre assai limitata. Secondo i dati Istat nel 2018 siamo arrivati all’1,43% sul Pil, ben al di sotto della media europea del 2%, lontanissimi dalla Germania, oggi già oltre il 3%, e dalla Francia il cui impegno di spesa è pari alla doppio del nostro. A livello regionale gli esborsi maggiori si collocano, come è facile immaginare nel nord Italia, con l’eccezione del Lazio che però è essenzialmente sostenuto da fondi pubblici. Il contrario di ciò che avviene al nord dove il maggior peso della ricerca viene sostenuto dalle imprese (63,1%).
Nella classifica delle regioni la Provincia di Trento si colloca (dati 2018) in un meritorio quinto posto con 1,56% sul Pile fondi in maggioranza pubblici. Siamo lontani dal Piemonte 2,17% o dall’Emilia Romagna (2,03%), ma messi meglio dell’Alto Adige il cui impegno è dello 0,84%. Il guaio è che l’Istat prevede un 5% di calo generalizzato nel 2020 causa Coronavirus e crescenti difficoltà del settore privato a sostenere gli stessi impegni degli anni precedenti. Ciò significa che il settore pubblico, il governo nazionale e quelli regionali, dovranno sostituirsi al privato e incrementare i fondi per la ricerca, sempre che si voglia sostenere lo sviluppo economico industriale e l’ innovazione del Paese o delle singole regioni. L’obiettivo può essere facilmente raggiungibile se si sfrutterà al meglio la grande massa di aiuti che potranno venire dal Recovery Fund. Anche il Trentino, quindi, dovrà prendere una drastica decisione in materia, sottraendosi alla tentazione di ridurre la spesa in ricerca. È una questione di priorità politica. Va tutelata l’invidiabile posizione raggiunta nei decenni scorsi puntando ad accrescere il proprio impegno a favore di Università e Centri di ricerca, da FBK a Fondazione Mach. Non solo a sostegno della ricerca applicata, di interesse primario per le imprese, ma anche e soprattutto per la ricerca di base, vero alimento di quella applicata. Ritorna quindi in ballo il discorso sull’ intelligenza artificiale su cui il nostro territorio ha scommesso in passato. Ma non solo nei suoi aspetti applicativi, come si ritrova fra le righe della Carta di Rovereto sull’innovazione dell’anno scorso, ma in quelli teorici e di sperimentazione di base su cui si è costruita, ad esempio, la fama dell’ex Irst. Intelligenza artificiale che è stata collocata fra i programmi prioritari della nuova Commissione europea e che viene sostenuta a spada tratta sia da Angela Merkel sia da Emmanuel Macron. Oltretutto, sarebbe per noi la valorizzazione di un grande patrimonio del passato voluto da Bruno Kessler e un fattore da giocare nel necessario negoziato per entrare nel nuovo Istituto Italiano dell’ intelligenza artificiale di Torino, da cui siamo stati incredibilmente esclusi. Ma questo è un compito in primis per la nostra classe politica che, come scriveva il compianto Tommaso Padoa Schioppa, deve abbandonare la facile strada della veduta corta e optare per quella lunga. Imitare in ciò Angela Merkel che nei periodi di crisi, 2008 e 2020, ha aumentato le spese per la ricerca, scommettendo più sul futuro che sul presente.