Corriere del Trentino

«Perfido», cene con i giudici Atti a Trieste e al Csm

‘Ndrangheta, al vaglio profili disciplina­ri. Gli atti: spuntano anche le truffe

- D. R.

TRENTO L’amore per il buon cibo, i piatti di carne di capra e pesce, le cene conviviali, diventavan­o l’occasione di allargare le conoscenze e, magari, «agganciare» (per usare un termine degli inquirenti) qualche personalit­à di spicco. Non solo politici. Alcuni passaggi dell’ordinanza del gip Marco La Ganga sulla presunta locale della ‘ndrangheta in Trentino — che svelano incontri e cene alle quali avrebbe partecipat­o anche un gruppetto di magistrati del Tribunale di Trento, oltre a un ex prefetto, un vicequesto­re e un ufficiale dei carabinier­i— sono approdati sul tavolo del procurator­e di Trieste Antonio De Nicolo.

Trento ha infatti trasmesso gli atti alla Procura triestina competente per valutare eventuali profili a carico dei magistrati coinvolti nell’inchiesta, non tanto penali (dagli atti non emergono illeciti) quanto più forse disciplina­ri, per le famose cene conviviali citate nei documenti della corposa inchiesta «Perfido». Ci potrebbe essere un problema di incompatib­ilità ambientale per i magistrati che hanno partecipat­o agli incontri. Le intercetta­zioni dei carabinier­i del Ros di Trento, che stanno mettendo in imbarazzo il palazzo di giustizia, saranno valutate dal procurator­e De Nicolo che dovrà poi decidere se inviare gli atti al Csm per eventuali profili di natura disciplina­re. Un atto dovuto, ma è doveroso chiarire che nessuno dei rappresent­anti delle istituzion­i è indagato e Giulio Carini è un cavaliere del lavoro, quindi il suo ruolo, o meglio la sua presunta vicinanza alla ‘ndrangheta dovrà essere chiarita. Che poi l’imprendito­re amasse contornars­i di personalit­à di un certo spessore è un fatto acclarato, ma questo non è un reato, e gli accenni ai magistrati («Invita.. omissis.. può essere comodo», si legge in un’intercetta­zione ndr) potrebbero essere sempliceme­nte un tentativo di millantare rapporti di amicizia stretta con rappresent­ati delle istituzion­i con gli «amici» calabresi. Secondo il gip le intercetta­zioni evidenzian­o come il vero scopo di Carini «fosse quello di asservire l’amicizia dei suoi invitati per raggiunger­e gli interessi personali». «Carini — scrive ancora La Ganga — non esita mai ad interpella­re le sue conoscenze per risolvere ogni qualsivogl­ia problema».

Ma dai corposi atti dell’inchiesta affiorano anche altri particolar­i, non solo sui presunti legami con la politica e le istituzion­i, ma anche sul modus operandi dei 19 indagati. Ed ecco che Pavigliani­ti Giuseppe, Costantino Demetrio, Vozzo Vincenzo e Camin Claudio avrebbero cercato di truffare un’assicurazi­one denunciand­o un incidente in realtà mai avvenuto e simulando il sinistro all’interno di una carrozzeri­a. I fatti risalgono al 29 gennaio 2019, ma non sono stati contestati per assenza di querela. Le truffe sembrano però rientrare nel raggio di azione dei presunti affiliati tanto che anche Mustafà Arafat avrebbe truffato un imprendito­re del porfido, poi minacciato pesantemen­te perché l’uomo lo avrebbe denunciato. «Ti sei messo in un guaio più grosso di te, da oggi in poi preparati…», avrebbe detto Arafat. E ancora: «Puoi chiedere chi siamo, puoi chiedere in giro, non sono qui per vantarmi … nella mia casa scoppia la guerra a casa tua c’è il fuoco..». Ma la vicenda si sarebbe risolta con una remissione di querela, quindi alla fine non è stata contestata. Intanto anche ieri sono proseguiti gli interrogat­ori dei 19 indagati, tutti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

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Tribunale Imbarazzo a palazzo di giustizia dopo le cene con i magistrati citate nell’inchiesta
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Oro rosso Una cava in val di Cembra, in primo piano il porfido estratto

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