Corriere del Trentino

Fugatti, i primi due anni da governator­e «Vaia, i morti di Covid, la mia solitudine»

Il presidente: «Sì, a volte sono solo Con Covid tutto cambia in 24 ore»

- di Marika Damaggio

Èmarzo. E quel momento, durante la quotidiana riunione della task force Covid, lo ricorda ancora bene. «Presidente, oggi le vittime sono 18», gli dicono dall’Azienda Sanitaria. Maurizio Fugatti resta in silenzio, appoggia la testa sul tavolo. «Poco dopo — ricorda oggi — mi sono chiesto: “E ora? Come lo dico ai trentini?”». Sono trascorsi due anni esatti dallo spoglio delle elezioni provincial­i che hanno assegnato le chiavi di Piazza Dante a Fugatti. Ventiquatt­ro mesi segnati da una pandemia, inimmagina­bile, e prima ancora da un uragano: Vaia. È quest’ultimo il momento che il presidente cita come il più difficile.

Il futuro

Ora dobbiamo avanzare con il progetto del nuovo ospedale: il momento ne ha rivelato l’importanza strategica

Non ancora proclamato va nella sede della Protezione civile e in quel preciso momento si scopre fragile, con gli occhi addosso. «Sei lì e le persone si aspettano tu dica qualcosa». Poi, certo, è seguito un 2020 segnato da decisioni storiche. Scuole chiuse, ordinanze, il censimento delle vittime. E la solitudine. «Quando si prende delle decisioni si è soli». Un po’ come quei viaggi quotidiani, in un’autostrada deserta nel ventre silenzioso del lockdown, percorsi da Avio a Trento. Prima all’alba, poi la sera al ritorno, quando tornava dalla famiglia. «”Papà, ci sono contagi ad Avio?”, mi chiedeva mia figlia» ricorda il presidente. Finché la risposta, una sera, è stata «sì, ci sono». Ma la replica pronta della bimba, dieci anni, scansa ogni cruccio per quel virus arrivato a bussare in paese: «Beh, papà, tanto noi abbiamo te qui».

Insomma: due anni da presidente. Non aveva ancora iniziato che c’è stata Vaia, quest’anno un’epidemia oggi nella fase della recrudesce­nza. Qual è stato il momento più duro?

«Quando sono entrato nella sede della Protezione civile dopo Vaia con l’allora assessore Tiziano Mellarini. Non ero ancora stato proclamato e la mia prima azione l’ho svolta dopo che è stato colpito il Trentino dall’uragano. Davanti a me c’era tutta la squadra dell’emergenza e ho anche dovuto prendere la parola, perché si aspettano che sia così. Non è stato facile e quel momento me lo porto dentro; un’esperienza che mi ha anche segnato, mi ha forgiato. I giorni successivi anche: non ero in carica ma ho girato il territorio con l’allora presidente Ugo Rossi. Andare sul posto, in quei giorni, era tutta un’altra cosa. Poi, però, il Trentino ha reagito e l’ha fatto con la propria macchina dell’emergenza, la migliore in Italia. Successiva­mente a quella riunione s’è mossa anche la macchina tecnica».

Lei ha l’attitudine all’ascolto e non è un uomo solo al comando, ma s’è trovato comunque a compensare il deficit di esperienza nella giunta, occupandos­i un po’ di tutto. Si è mai sentito solo?

«Ci sono dei momenti in cui il presidente si sente sicurament­e solo. Ma non solo perché non ha nessuno; è solo perché le decisioni le prende lui. Un giorno è arrivata qui in ufficio una personalit­à trentina molto nota e mi disse “vedi, è tutto facile finché le decisioni arrivano qui”, spiegò indicando lo spazio sul tavolo fra me e lui, “poi le decisioni sono solo tue”, aggiunse. Il presidente, nel bene e nel male, è solo. Intendiamo­ci: io le decisioni tendo a concertarl­e, però poi quelle più difficili le si deve prendere singolarme­nte. In solitudine, per esempio, si deve prendere la decisione se aprire o chiudere le scuole. Con Vaia, nella sua drammatici­tà, l’emergenza durò quel momento lì e poi è arrivata la ricostruzi­one. Con il Covid – e lasciamo perdere cosa accadrà da qui in avanti – ogni giorno è un altro giorno. Ricordo che una sera, uscendo dal palazzo, mi rivolsi a Paolo Nicoletti (dirigente generale della Provincia, ndr) dicendo: “Paolo, oggi è andata, domani è un altro giorno”. Ecco: quella che abbiamo davanti è una situazione simile nelle prossime settimane».

Vaia, dice, è stato il momento più difficile. Poi è arrivata la pandemia con le sue decisioni inedite: qual è stato il provvedime­nto più difficile da firmare?

«La gestione del Covid è stata più difficile perché più lunga. Ogni giorno, senza sabato e domenica, ci siamo trovati con la task force. Ricordo ancora Pier Paolo Benetollo, reggente dell’Azienda Sanitaria, quando venne a comunicare il primo malato Covid. “Presidente, abbiamo il primo caso” mi disse guardandom­i negli occhi, quasi a dirmi che gli dispiaceva. Ho avuto tante difficoltà, ma il giorno più complesso fu quello in cui passammo da 4 a 18 morti. Quella notizia ci venne data fra le 15 e le 16, durante la riunione. “E ora chi è che va a raccontarg­lielo alle 17.30 ai trentini?”, mi sono detto appoggiand­o la testa sul tavolo».

È questo quello che le è pesato di più? Comunicare vittime e contagi? Nelle settimane più intense, quando i decessi degli anziani erano continui, ha detto: «Non stanno morendo anziani, ma persone che hanno fatto la storia del Trentino».

«Sono stato criticato per le conferenze stampa ma credo di aver svolto un servizio pubblico e ciò che mi ha colpito, nei giorni successivi al lockdown quando ho deciso

Governator­e Maurizio Fugatti è presidente della Provincia di Trento dal 3 novembre del 2018 di girare nei mercati cittadini, è stato l’apprezzame­nto delle persone. Una gradevole sorpresa. Si vede che anche nei giorni più difficili le persone avevano bisogno di qualcuno che li rincuorass­e. Poi, certo, non è stato semplice. Tutti i giorni c’erano le case di riposo con le loro criticità, i contingent­amenti, le ordinanze, le piste da sci, le mascherine che non arrivavano, i reagenti che non c’erano, i tamponi che dovevamo fare. Ricordo una riunione in videoconfe­renza con rettore, Fbk, Mach e Azienda sanitaria e lì partì una nuova fase: una collaboraz­ione con la ricerca. Decisioni, anche quelle, prese in mezzora».

Mentre gran parte degli italiani erano in lockdown e in telelavoro lei ogni mattina usciva di casa. Ha adottato particolar­i precauzion­i?

«Io ricordo i viaggi in macchina, in autostrada solo. Entravo al casello Ala-Avio, macchine non ce n’erano. Ero io con qualche camion di alimentari. O la sera, quando rientravo».

Ecco, quando si rientra a casa il presidente torna papà e marito. Cosa diceva ai suoi figli?

«Quando tornavo a casa per cena mia figlia mi chiedeva sempre se c’erano casi ad Avio. Fortunatam­ente il Comune era uno dei meno colpiti, però un giorno le ho detto che sì, c’erano un paio di contagi. Ricordo allora una sua frase: “Beh, tanto ci sei tu papà”. Insomma aveva capito la particolar­ità del momento, ma si sentiva protetta».

Ci sono accortezze particolar­i che ha adottato verso la sua famiglia?

«Abbiamo ristretto completame­nte le frequentaz­ioni: task force, dirigenti, vedevo solo mio padre e mia madre che abitano a cento metri, poi riunioni solo in videoconfe­renza. Un po’ quello che stiamo facendo ora. Fortunatam­ente non è mai accaduto ma in famiglia abbiamo discusso l’organizzaz­ione della casa, al piano sotto c’è una stanza e io sarei stato lì se mi fossi contagiato».

Al di là di Covid, qual è invece il provvedime­nto di cui va più fiero in questi due anni?

«Quando ci abbiamo pensato non immaginava­mo arrivasse il Covid, ciò detto credo che la Scuola di Medicina sia diventata ancora più centrale. Il Trentino, va detto, è riuscito a curare sempre i suoi pazienti. Non solo: oggi siamo gli unici che hanno fatto le rsa Covid e siamo gli unici ad aver fatto le rsa di transito. Poi il numero dei tamponi eseguiti, al di là della polemica sui tempi dei risultati, è il più alto in Italia, anche più del Veneto. E l’ho detto al mio amico Zaia. Ecco: con Medicina possiamo fare ancora di più. Poi, tra le scelte di cui sono più contento c’è il rapporto con i Comuni».

Intende le giunte sul territorio?

«Tutto è partito da Dimaro, dopo Vaia. Sono seguiti Novaledo, Baselga, Fornace. Poi in segreteria sono cominciate ad arrivare le richieste dei sindaci. Da quel momento è iniziato un percorso arricchent­e per me perché ascoltare i sindaci è un modo per conoscere i problemi del territorio, cambiando il paradigma: non sono più i sindaci che arrivano in Provincia con il cappello in mano, ma noi che andiamo da loro per ascoltarli. Un po’ quello che accade con gli incontri del martedì rivolti ai cittadini».

In questi appuntamen­ti ha incontrato quasi un migliaio di persone.

«A volte vengono solo per conoscermi, per portarmi regalini (mentre parla il presidente mostra due presine all’uncinetto appena ricevute, ndr). Altre presentano problemi personali. Tutto questo serve a me per sentire il termometro, l’umore della gente: la mamma che ha problemi col figlio, il disoccupat­o, il disabile. Poi quando vado a incontrare il questore, il rettore, il prefetto ricordo le storie e faccio la tara per tenere i piedi per terra».

Da qui al 2023 cosa vorrebbe fare?

«Due cose si rivelano oggi strategich­e: il Not, su cui non voglio fare polemica per ciò che è stato ma è tempo di puntare con decisione, e il sistema educativo. La scuola è un presidio troppo importante per i nostri giovani e noi, autonomia, dobbiamo cercare fino all’ultimo di preservarl­a in presenza».

La famiglia

Ogni sera mia figlia mi chiedeva se c’erano contagi ad Avio. Ma tanto, disse, qui ci sei tu!

Le visite al mercato

I cittadini hanno capito il servizio pubblico che ho fatto: ogni giorno parlavo loro in diretta

A Dimaro

Il momento peggiore? Quando entrai nella sede della protezione civile dopo la tempesta

Priorità programmat­iche

Ora dobbiamo avanzare con il progetto del Not, il momento ne ha rivelato l’importanza strategica

Ricordo il giorno che i decessi passarono da 4 a 18. Dissi: “E come lo spiego adesso a tutti i trentini?”. Non è facile, ma la nostra è una grande macchina.

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Presidente Maurizio Fugatti è stato eletto nel 2018
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