Truffata un’ottantenne, spariti soldi e gioielli
Indagine «Perfido», Paviglianiti si difende : «Magna Grecia? Non copre incontri malavitosi»
«Sua figlia ha fatto un incidente, deve pagare una cauzione». Falso avvocato ha truffato un’ottantenne, spariti soldi e gioielli.
TRENTO Sei minuti o poco più. Il tempo stretto di consegnare al giudice Adriana De Tommaso un lungo memoriale di quattordici pagine in cui racconta la sua storia di calabrese, prima ancora che imprenditore, di uomo che ha cercato di costruirsi un futuro in Trentino, ma lontano dalle logiche e dalle regole della criminalità organizzata.
Giulio Carini non ha risposto alle domande del giudice — lo farà in un secondo tempo — ma si è affidato a un lungo scritto per chiarire la propria distanza dalle pesantissime accuse mosse dalla Procura di Trento. Il noto imprenditore, che vive da anni ad Arco, 72 anni, è uno degli indagati nell’ambito dell’inchiesta del Ros di Trento sui presunti legami della ‘ndrangheta con il mondo del porfido. Ritenuto dagli inquirenti partecipe dell’associazione che «si interfaccia alla pari con Macheda Innocenzio (presunto boss della locale trentina legata alla cosca calabrese di Nino Serraino) — scrive il gip Marco La Ganga in ordinanza — riveste un ruolo di raccordo e collegamento con la Calabria e con le istituzioni politiche, economiche, amministrative».
Ieri mattina alle 9 l’imprenditore, che ha un obbligo di firma, accompagnato dal suo avvocato Andrea de Bertolini, si è presentato in Tribunale a Trento davanti al giudice per l’interrogatorio di garanzia. Ma come molti altri prima di lui ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere, non prima però di consegnare il documento con cui ribadisce la sua «radicale distanza» dalle accuse mosse nella lunga ordinanza. «Non sono un ‘ndranghetista», ha rimarcato, prendendo le distanze anche da tutto ciò che sarebbe avvenuto nel mondo del porfido. E i legami con politici e istituzioni? Sarebbero facilmente spiegabili per il suo ruolo di imprenditore e il suo impegno nel mondo dello sport e del volontariato. «Non sono un faccendiere», ha poi detto, sicuro di poter spiegare ogni singola intercettazione.
Ha scelto di non rispondere alle domande anche Giuseppe Paviglianiti, che si trova agli arresti domiciliari, ritenuto un «esecutore» delle direttive del capocosca. D’altronde la quantità di atti dell’indagine, oltre 20mila pagine, è enorme L’uomo, difeso dall’avvocato Nicola Zilio, ha però deciso di rilasciare alcune dichiarazioni al giudice chiarendo la sua completa estraneità a qualsiasi nucleo ‘ndranghetista. Poi ha difeso con forza la rispettabilità dell’associazione Magna Grecia, di cui è stato presidente. «Ingiustamente denigrata», ha detto. Culla, secondo gli inquirenti, di incontri tra solidali. «È un’associazione culturale che esiste da quindici anni — ha spiegato — che ha come scopo la promozione della tradizione, cucina, musica, danza e del folklore calabrese». Insomma una realtà ben lontana da essere «una facciata per coprire incontri malavitosi. È una realtà fatta di persone, calabresi e trentine, accomunate dalla voglia di stare assieme».
Paviglianiti ha depositato una montagna di documenti che proverebbero i tanti eventi organizzati, i tornei, le gite, il tradizionale festival. «Un’associazione fondata sul volontariato — ha aggiunto Paviglianiti — senza scopo di lucro. Gli incassi servivano solo a coprire le spese».