L’INFODEMIA PUÒ FARE MOLTI DANNI
Bisogna evitare la diffusione della nevrosi sociale
Fra i quotidiani «lasciti» di questa pandemia, uno in particolare riveste un’importanza crescente: la riscoperta cioè del concetto di responsabilità.
Le attente riflessioni proposte da Enrico Franco su queste pagine («La nostra lotta Covid» del 16 ottobre), al di là di indurre razionali condivisioni, pongono questioni stimolanti per ulteriori approfondimenti.
Fra i quotidiani «lasciti» di questa pandemia, nella quale siamo tutti immersi e che sembra non aver mai fine, uno in particolare riveste, a mio sommesso avviso, una importanza crescente: la riscoperta cioè delle molte facce del concetto di responsabilità, in stretta connessione fra individuale e collettivo ed avente per scopo anche la lotta all’esplosione incontrollata e, per alcuni versi, incontrollabile di quella che potrei definire l’ «infodemia» del presente, cioè una sorta di bulimia delle informazioni che prospera nei tradizionali mezzi di comunicazione di massa, come nelle reti «social» e in ogni altro possibile deposito di verità parziali, quanto effimere. Responsabilità quindi del singolo comportamento, al pari del singolo messaggio, soprattutto quale antidoto per evitare il sempre meno remoto rischio della diffusione di una nevrosi sociale, capace di impastare le paure individuali per poi far lievitare ulteriormente il crescente disagio del vivere e, di conseguenza, offrire alimento all’espandersi di sensazioni di panico, nutrite da sempre nuove «fake news» millenaristiche, complottiste e negazioniste. Se questa nevrosi, oggi in nuce, dovesse prevalere, sarà poi arduo provare a stemperare un clima generato da una sovrabbondanza di informazioni, peraltro il più delle volte anche contraddittorie fra loro, facendo ricorso ai più disparati vocabolari ed alle semplificazioni degli anglicismi. Il «lockdown» diventerebbe quindi il più comprensibile, anche se più pericoloso, «coprifuoco», termine questo in grado di evocare quelle condizioni belliche le quali, a loro volta e come ci insegna l’esperienza storica, spingono alla ricerca sempre più ossessiva di un «nemico» qualsiasi, purché concretamente individuabile. E così potremo assistere alla trasformazione di una malattia in una «oscura minaccia esterna indefinita», priva ormai delle sue caratteristiche patologiche e ricca invece di imprevedibili implicazioni sociali ed ideologiche. Lo spinte che potrebbero generare questo scenario sono semplici. Dibattiti di esperti — o supposti tali — dove si fronteggiano in approcci diametralmente opposti e fondati su parziali dati empirici di non lunga tenuta; opinionisti che si improvvisano scienziati e ricercatori costretti a supplire ai vuoti di certa politica ed infine la «vox populi» — che in questo caso non credo sia anche «vox Dei» — che si gonfia a dismisura di supposizioni, superstizioni e dicerie raccolte un po’ ovunque ed affastellate dentro un magma tanto indistinto, quanto esposto al rischio della sua continua manipolazione a favore di questa o quella «teoria». In altre parole esattamente ciò che sta accadendo ogni giorno qui come altrove.
Tutto questo, se non viene frenato e ricondotto dentro alvei razionali, può produrre amplificati volumi di incertezza e di sospensione nel vuoto della storia, in attesa di salvifiche soluzioni globali delle quali però non si intravvede alcun profilo, mentre si potrebbero affacciare ai nostri orizzonti forme iniziali di una paranoia sociale tutta protesa alla ricerca di un «colpevole» al quale addossare ogni nostro timore del futuro. Un «colpevole» qualunque, sia esso la Cina, gli immigrati cari ai sovranismi, gli sfidanti alle elezioni americane, le congiunzioni astrali, i cambiamenti climatici oppure, più prosaicamente, quel nostro vicino di casa con le orecchie a sventola ed il naso adunco o il passeggero di altro colore sull’autobus. L’ infodemia, se non adeguatamente governata anche dentro gli organi di informazione, può quindi trasformare — e in «peius» — il nostro tempo ben più della pandemia, soprattutto se rinunciamo all’oneroso, quanto irrinunciabile, dovere della coscienza e della responsabilità, secondo l’illuminante lezione lezione del Presidente della Repubblica e del suo pacato ottimismo della ragione.