Corriere del Trentino

Ore 18, la festa non è qui: «Macché favoriti»

Dopo le 18 attività aperte, ma prevale la disillusio­ne L’«Uva&Menta»: «Esauriamo le scorte del bar e stop»

- di Emilio Randon

Ore 18, viaggio nella città che apre mentre il resto d’Italia chiude. «Macché favoriti, situazione difficile anche qui».

TRENTO Quattro ore in più per mangiare? Briciole. Due per farsi uno spritz? Uguale, fan prima a sgasare le bollicine: nessun piacere, nessun vantaggio, lo strabismo territoria­le e il privilegio supposto sfumano alla stessa velocità, almeno per le categorie economiche di baristi e ristorator­i trentini che vedono le cose con gli occhiali dei risultati economici. E «qui non c’è alcun vantaggio, nessuno dal lato pratico» racconta Maurizio, uno che serve da mangiare su un lato della strada all’«Uva&Menta» e sull’altro serve da bere nel bar che ha lo steso nome, due locali, doppio strabismo: «Devo solo capire quale chiudere prima».

Per un attimo, qui a Trento, è sembrato tornare il fantasma della frontiera asburgica — gastronomi­ca, con dogana alcolica — e sotto il confine s’è visto quello del risentimen­to invidioso. Toh, hai visto: in Friuli la benzina scontata che sennò vanno tutti in Slovenia, a Livigno si va per le sigarette, in Trentino adesso si va per mangiare in santa pace. Non è esattament­e così, non si sono viste file di transfront­alieri della trippa, nessuno si è messo in viaggio dal Veneto per poter mangiare un piatto di spaghetti e digerirlo senza che il gestore ti mandi in strada.

Due ore più quattro non fanno sei. «Il tempo di esaurire le scorte — io non ordino più niente — e poi chiudo tutto, il bar prima, il ristorante poi, resta da vedere solo come va il take away — Maurizio ha chiamato il socio Sergio, quello del bar — ed è quasi un consiglio di amministra­zione quello che si riunisce, con i due soci – uno al bar, l’altro in cucina – strategica­mente divisi da

 Botto (Pasi) Non ha senso equiparare la situazione sanitaria trentina a quella di altre regioni. Noi diversi

 Maurizio Dal lato pratico non c’è nessun vantaggio. la categoria è una sola. Non siamo più bravi delle altre regioni con il Covid

due, l’uno dice chiudere alle 0tto, l’altro alle dieci. «La differenza non esiste, la somma è zero sia per me che per Sergio. Il nostro lavoro era fare movida, creare ambiente, insomma rendere piacevole la vita alla gente non quella di metter loro la pastasciut­ta in bocca».

Il vero confine dei bar resta il banco, di qua è una cosa di là è un’altra. «E per noi va bene così — rivendica fiera la signora Giusi, padovana di origine e trentina di adozione seduta con tre amici al

Forst, bar più ristorante, gelosa delle differenze e pronta a difenderle — in Trentino mi trovo benissimo a parte il marito che è di qui, ma che ci vuoi fare, magari sarebbe andata male anche a Padova. Lei viene da Padova? Doppia mascherina allora che quella che indossa ha non è regolament­are».

Due ore più quattro la differenza, meritata, secondo Walter Botto del bar «Pasi», incontesta­bile ed evidente ma non sufficient­e: «Perché siamo diversi, non ha senso equiparare la situazione sanitaria in Trentino con quella di altre regioni. Un morto l’altro ieri, uno ieri. Dove sta la ragione sanitaria di chi vuol sentire una sola musica. E poi non capisco dov’è la differenza tra bar e ristorante, due categorie che sono andare avanti di pari passo da sempre».

Sara ha poco più di 20 anni ed è marocchina d’origine, seduta fuori dal «Pasi» con un’amica possiede una rara vista binoculare del problema nella doppia veste di cliente a Trento e di padrona a Strigno dove assieme al compagno Eddy gestisce il «Ranch Dei Lupi», «e creda, — mio marito è arrabbiato nero: prima tiravamo fino alle 5 di mattina, con la chiusura alle 8 il nostro fatturato si è dimezzato».

Trento non è la «never sleep» del nord, tira due ore di più ma col mal di testa. Il boccone delle restrizion­i lo trova indigesto anche con il bonus orario, perché «i clienti non guardano l’orologio del governo per mangiare, ma il benessere, vogliono la loro tranquilli­tà. Minacciarl­i con la campanella di fine ricreazion­e li fa solo scappare e di fatto sono già scappati».

«Posso parlare chiaro?». I due soci dell’«Uva&Menta» riuniti in Cda, poco prima delle otto sembrano aver raggiunto un accordo sui diversi orizzonti strategici. Per Maurizio «è una stronzata. Posso parlare chiaro? Questa differenza tra noi e tutti gli altri è una sola grande fesseria sbattuta in faccia al resto dell’Italia. La categoria è una sola, qui abbiamo rispettato le norme anti Covid come le hanno rispettate i veneti, i lombardi e i piemontesi. Perché penalizzar­e le altre regioni? Dividerci in bravi e meno bravi e un male in sé».

Sergio, il socio con il bar fa i conti di fine giornata, «tanto da qua alle otto non svolta di sicuro, ho fatto cento euro e non ha senso tenere aperto neanche per me. Già un mese fa eravamo al 50 per cento. Una volta esaurita la merce chiudo. Eravamo in venti a lavorare tra cucina e tavoli, siamo rimasti in dieci, tra pochi giorni saremo in sei».

«Uva&Menta» hanno stampato sui tovaglioli una frase da vertigine, «la fame non è ambiziosa, si accontenta di cessare. Seneca», e se lo hanno fatto è perché sfamare la gente non gli basta, «vogliamo far vivere la città, le mezz’ore regalate col contagocce non ci bastano, anzi, spopolano la città e allontanan­o la gente, alla fine fanno lo steso danno di un lockdown».

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Bar e ristoranti ieri dopo le 18 con alcuni clienti. In basso a sinistra Maurizio Uva di «Uva&Menta» e sopra una sala del suo locale
(Ansa/Pretto) Autonomia Bar e ristoranti ieri dopo le 18 con alcuni clienti. In basso a sinistra Maurizio Uva di «Uva&Menta» e sopra una sala del suo locale
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