Corriere del Trentino

IL TEMPO PERDUTO

- Di Simone Casalini

Le restrizion­i alle nostre libertà sembrano avere riportato le lancette dell’orologio a marzo quando sul Paese calò il silenzio del lockdown, dell’inattività, della peste che sotterrane­amente guadagnava campo in un ambiente sorpreso. Sembrano, però. Perché le analogie riguardano le misure ma non le condizioni di partenza, il know how del virus, la densità del contagio. L’assenza di chiarezza nelle comunicazi­oni politiche e sanitarie — e l’angoscia che esse generano — sono invece il trait d’union con la nostra storia recente. Del resto, è giusto premettere che la gestione di un fenomeno globale come la pandemia da Covid-19 e l’impossibil­ità di individuar­e una risposta efficace in tempi brevi (il vaccino) espone chi ha responsabi­lità di governo (a tutti i livelli) ad una tecnica decisional­e che potremmo definire per approssima­zione. Si osserva la curva dei contagi, i posti di terapia intensiva occupati, la tenuta del sistema sanitario e si cerca di sottrarre al virus spazi di diffusione che sono poi la nostra socialità, la nuda vita.

Tuttavia, rispetto al mese di marzo è cambiato qualcosa in più di un semplice arredo nella scena del crimine.

Conosciamo più da vicino il virus e le patologie che provoca, lo sappiamo curare o arginare in modo più efficace anche se non possediamo ancora un antidoto. Inoltre, secondo aspetto, la popolazion­e ha avuto il tempo di acquisire la cultura necessaria per difendersi, dall’igiene ai dispositiv­i di protezione passando per il necessario distanziam­ento a cui speriamo di non assuefarci. L’estate (terzo punto) ci ha anche concesso una sospension­e del contagio massivo e la possibilit­à di pianificar­e — nei limiti del possibile — una strategia per il lungo inverno che ci attende e che non è ancora cominciato. Il peggio deve arrivare, insomma. Infine (quarto punto) la dialettica Stato-Regioni (e Province autonome) si pensava avesse affinato un metodo per evitare il centralism­o o l’anarchia delle decisioni. Legato soprattutt­o alla demografia come punto cruciale dell’espansione del virus e la differenza come fattore di diversific­azione delle misure. La difformità di Trento è stata invece sanzionata ieri dall’impugnativ­a (e dall’esclusione delle categorie aperte dal decreto ristoro) del governo, mentre Bolzano sembra avviata ad un patteggiam­ento.

Nonostante questo differenzi­ale, la seconda ondata è proceduta con il suo andamento esponenzia­le. Non è semplice, lo sottolinei­amo. Però dell’idea di rivedere i tempi della città, del lavoro, della scuola riorganizz­ando le nostre quotidiani­tà in un’architettu­ra che guardasse al futuro è rimasto ben poco. Suggestion­i per lo più e i titoli dei media di luglio e agosto. Forse il sistema economico non possiede la flessibili­tà necessaria o il sistema scolastico non è strutturab­ile in una forma temporale differente dall’ingresso alle 8 (ossia scaglionam­enti per non saturare la mobilità pubblica). O il ricorso ad uno smart working organizzat­o e anticipato non era prevedibil­e, inghiottit­o dalla grande illusione estiva. O le questioni contrattua­li e sindacali sono invalicabi­li. Sicché ora ci ritroviamo nel punto ipotizzato: i trasporti pubblici debordano di studenti, lavoratori, utenti vari senza avere la possibilit­à di intervenir­e e sono uno dei principali veicoli di infezione. Perché i tempi delle città sono gli stessi di prima. Perché le reti del commercio e della logistica sono quelle ormai logore che conosciamo. Perché l’online è uno spazio di profitto senza restituzio­ne. Perché la tracciabil­ità del virus rimane bassa o insufficie­nte, come la disponibil­ità dei tamponi. E dunque chiudiamo.

Le Province autonome di Bolzano e Trento hanno ritenuto di utilizzare gli strumenti dell’Autonomia per ritagliars­i degli spazi di azione e di adattament­o in una realtà sanitaria non rassicuran­te. Ma oltre a tamponare le falle economiche che si aprivano, si è scelto, per impossibil­ità o complessit­à, di non spingersi oltre, di non toccare gli equilibri organizzat­ivi. Ma la sfida, forse era lì, provare ad impostare un altro modello. Anche le elezioni comunali, che prometteva­no il quasi ipnotico monotema del virus e di come riconfigur­are la vita nelle città e nelle valli, non hanno aggiunto in verità nulla al dibattito.

L’incertezza è diventata una compagna di vita e alimenta la protesta. Cerchiamo pure gli infiltrati, gridiamo che è la camorra, ma nei focolai che si accendono tanti sono sempliceme­nte esasperati perché le disuguagli­anze li stanno consumando, il lavoro se n’è andato e le liturgie dei decisori (liberali contro intransige­nti per una manciata di consensi) non aiutano a trovare vie d’uscita. Stiamo transitand­o dalle fasi della resistenza (primo lockdown) e della depression­e (la ripresa dei contagi autunnali) a quella dell’isteria che avrà caratteris­tiche irrazional­i e collettive.

Tutte queste asimmetrie, che sembrano essere il dato crescente della società, avrebbero bisogno paradossal­mente di vicinanze più che di lontananze, di condivisio­ni più che di divisioni, di immaginazi­one più che di difesa di uno status quo destinato a soccombere. È il compito della politica, colmare i vuoti anche quando questi fisicament­e si propongono di prendere il sopravvent­o.

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