Ristoratori combattuti: meglio chiudere, vogliamo i rimborsi
Gli esercenti: fatturato dimezzato
TRENTO In 250 a protestare, tovaglie a terra in piazza Duomo e inno d’Italia cantato tutti insieme all’ombra della fontana del Nettuno: sono i ristoratori e i baristi trentini che ieri hanno partecipato alla manifestazione nazionale «Siamo a terra» organizzata dalla FipeConfcommercio (in Trentino suddivisa in Associazione ristoratori e Associazione dei pubblici esercizi). Una categoria divisa tra la volontà di andare avanti nonostante tutto e la prospettiva di chiudere completamente fino a fine novembre per garantirsi il lavoro natalizio. «Siamo qui per chiedere maggiore attenzione da parte della politica — dichiara Marco Fontanari, presidente dell’Associazione ristoratori e vicepresidente di Confcommercio Trentino — I ristoratori sono una delle categorie più colpite dalla crisi: il prolungamento orario ci aiuta ma la gente non esce più perché ha paura. Noi siamo aperti con costi fissi e guadagno incerto, abbiamo bisogno di aiuti e attenzioni. Ringraziamo la giunta per la scena coraggiosa di prolungare l’orario di apertura ma anche così siamo in grave difficoltà. Dopo le 18 le città si svuotano, un po’ per paura un po’ per senso di responsabilità dei cittadini, mentre chi fa servizio a pranzo è penalizzato dall’alta percentuale di lavoratori in smartworking. Abbiamo assoluto bisogno dei fondi stanziati dal governo con il Decreto Ristoro, non sono quelle due o quattro ore in più a salvarci».
Dello stesso parare Fabia Roman, presidente dell’Associazione dei Pubblici Esercizi del Trentino: «L’ordinanza provinciale che ci permette di stare aperti qualche ora in più per noi è quasi una grazia — ammette — Ma il lavoro non c’è in ogni caso: la gente sta a casa, il rito dell’aperitivo è morto. Alcuni stanno provando ad attrezzarsi con i dehors ma molti hanno esaurito i fondi per reagire al primo lockdown. La situazione è tragica e se non riceveremo aiuti molti saranno costretti a chiudere». I conti sono facili da fare: aprile con il lockdown totale non ha avuto fatturato, marzo e maggio con le aperture parziali si assestano su un calo dell’80%, i mesi estivi sono andati bene ma non al punto da sostenere l’intero anno di lavose ro.
Seduto con i colleghi a sostegno della manifestazione ma di opinione del tutto opposta Massimiliano Peterlana, presidente di Confesercenti Trento: «Finora abbiamo perso il 50% del fatturato annuale, se dovessimo chiude del tutto a dicembre finiremmo con l’80% in meno e il concretissimo rischio di chiusura per molti di noi. Sarebbe un segnale di responsabilità chiudere completamente fino al 24 novembre, far scendere la curva dei contagi e riaprire per la stagione invernale, che per noi è di fondamentale importanza. Sarà una decisione collegale: se chiuderemo lo faremo tutti. Siamo circa mille impreTrentino», in tutta la provincia per quasi 10mila occupati».
Il timore che spinge a ipotizzare la chiusura totale è che la deroga agli orari concessa dalla Provincia di Trento si riveli un’arma a doppio taglio, riducendo o eliminando del tutto la possibilità agli imprenditori trentini di accedere ai consistenti fondi previsti nel Decreto Ristoro. «Non ci risulta che la nostra scelta infici la possibilità di ottenere i bonus» commenta l’assessore provinciale al turismo Roberto Failoni, in piazza a sostegno della categoria. Anche il presidente Maurizio Fugatti è voluto comparire in piazza a fianco dei manifestanti: «Questo è un momento molto delicato. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo. L’ordinanza è giustificata dalla situazione sanitaria, con numeri al di sotto della media nazionale. Ho comunicato la mia decisione al ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, cercando di sostenere la nostra iniziativa». Iniziativa poco gradita al ministro, che ha annunciato di voler impugnare le ordinanze di Fugatti e del suo omologo bolzanino Arno Kompatscher.