Inchiesta ‘Ndrangheta, pioggia di ricorsi
Braccio di ferro sulla misura cautelare. Anche i fratelli Battaglia chiedono ai giudici la scarcerazione
Nuova ondata di ricorsi al Tribunale del riesame contro l’ordinanza del gip La Ganga che ha portato a metà ottobre a 19 arresti e alla scoperta di una «locale» trentina della ‘ndrangheta. Altri 6 indagati, tra cui i fratelli Battaglia, chiedono la scarcerazione.
TRENTO Le indagini sono ancora in corso e potrebbero riservare anche sviluppi interessanti, ma nel frattempo la battaglia dei diciannove arrestati nell’ambito dell’inchiesta «Perfido» sulla presunta «locale» trentina legata al mondo delle cave di porfido e affiliata alla cosca calabrese di Antonio «Nino» Serraino, si sposta sul tavolo dei giudici del Tribunale del riesame.
Dopo il ricorso presentato da Pietro Denise, il presunto «custode delle armi» del clan, respinto con una decisione rapidissima del collegio presa nel giro di poche ore, altri sei indagati, coinvolti nell’operazione dei carabinieri del Ros che ha portato a metà ottobre a 19 arresti, hanno presentato ricorso al Tribunale del riesame. Si tratta di Mario Giuseppe Nania, Mustafà Arafat, Costantino Demetrio, Giovanna Casagranda, moglie di uno dei fratelli Battaglia, che si trova agli arresti domiciliari. Ma anche i due fratelli Giuseppe e Pietro Battaglia ritenuti ai vertici della «locale» ndrina hanno chiesto la scarcerazione.
Giuseppe Battaglia è uno dei nomi di spicco secondo la Procura di Trento « con ruolo apicale nel sodalizio, iniziatore della silente infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale ed economico trentino con l’utilizzo di ingenti capitali», scrive il gip Marco La Ganga in ordinanza. Per gli inquirenti era lui a «dirigere e organizzare gli aspetti di natura economico finanziaria legati alle ditte di porfido a lui riferibili, assumendo nel tempo le decisioni più rilevanti ed impartendo disposizioni». Sempre lui aveva avuto il compito di curare per conto dell’organizzazione criminale i rapporti con imprenditori, soggetti istituzionali e le amministrazioni comunali di Lona Lases e Albiano. Il suo nome compare anche negli atti della Procura di Reggio Calabria, che ha un procedimento aperto sulla cosca di Serraino, a fianco al nome di Innocenzio Macheda, ritenuto il capo della cosca trentina.
Giuseppe Maria Nania è indicato nell’atto d’accusa della Procura di Trento come «braccio armato», pronto a intervenire per sistemare i problemi con i lavoratori o i debitori. La moglie di Giuseppe Battaglia, Giovanna Casagranda, fungeva da «collettore per la componente economico finanziaria delle ditte di porfido, fornendo supporto agli altri affiliati», scrive ancora il gip. Inoltre avrebbe collaborato al presunto sfruttamento dei lavoratori, all’intestazione fittizia di società e all’elusione fiscale.
Accuse pesanti che gli indagati hanno sempre respinto. Ora il pool di avvocati composto da Luca e Giorgio Pontali, Alessandro Meregalli, Giuliano Valer, Filippo Fedrizzi e Carlo Chelodi, hanno depositato il ricorso chiedendo la revoca della misura cautelare o in subordine una misura meno afflittiva. Deciderà il Tribunale del Riesame. Intanto l’imprenditore Giulio Carini, che ha un obbligo di firma, difeso dall’avvocato Andrea de Bertolini, finito anche lui al centro dell’inchiesta, ha rinunciato al ricorso al Riesame.