Corriere del Trentino

LA GESTIONE IN DEROGA DEL VIRUS

- Di Roberto Toniatti

La premessa d’obbligo è che la miglior tutela dell’autonomia consiste nell’esercitarl­a con una ragionevol­e e ben ponderata assunzione del rischio di una successiva invalidazi­one da parte di chi ne abbia la legittima autorità. È un imperativo etico che, a mio giudizio, vale per tutti, individui (anche i minorenni, che devono poter crescere anche grazie ai propri errori), associazio­ni private e istituzion­i, Regioni ordinarie e speciali.

Bene hanno dunque fatto, in linea di principio, le due Province autonome ad assumere il rischio di una impugnazio­ne da parte del governo per la gestione della pandemia nel rispettivo territorio. Tuttavia, a base dell’assunzione del rischio, occorre che la valutazion­e dei margini di autonomia praticabil­i sia davvero ragionevol­e e ben ponderata. Il che non sembra essere stato in relazione alle due ordinanze che hanno introdotto — ciascuna per proprio conto e con norme proprie differenzi­ate l’una dall’altra — un assetto derogatori­o rispetto alla disciplina nazionale disposta dal dpcm del 24 ottobre. Il rischio, dunque, c’era e in buona misura l’esito si sarebbe potuto anticipare. In realtà le ordinanze dei due presidenti provincial­i hanno presentato una struttura molto diversa. L’ordinanza del Landeshaup­tmann contiene 47 prescrizio­ni puntuali esposte con stile tacitiano in dieci pagine bilingui. Non si dà alcuna motivazion­e delle scelte derogatori­e introdotte.

Partendo dalla citazione dello Statuto e delle singole competenze di settore da esso previste, si indica fra le fonti la legge provincial­e n. 4 del 2020 e ci si limita a prendere atto dell’evolversi della situazione epidemiolo­gica, della crescita dei casi di Covid e della conseguent­e necessità di «introdurre ulteriori misure maggiormen­te restrittiv­e, limitate temporalme­nte». Si registra che «a livello nazionale tali misure ulteriorme­nte restrittiv­e sono state adottate con il dpcm del 24 ottobre 2020». Dopodiché inizia l’elencazion­e delle misure autonomame­nte introdotte nell’ordinament­o, senza alcun riferiment­o alla loro natura derogatori­a rispetto alla disciplina nazionale e tacendo, dunque, sul fatto che alcune delle misure sono in realtà espansive e non restrittiv­e (come l’orario di apertura di bar e ristoranti). L’ordinanza di Fugatti, invece, segue un’impostazio­ne diversa: si richiama a una ventina di fonti normative e si citano brani di disposizio­ni della normativa dello Stato a presunto sostegno dell’ammissibil­ità di margini di deroga. Così, ad esempio, si fa riferiment­o al previsto rapporto di compatibil­ità delle misure nazionali con gli Statuti speciali e le norme di attuazione, si menzionano i principi di proporzion­alità e di adeguatezz­a per l’adozione di una disciplina restrittiv­a in campo economico, sociale e produttivo i quali implicano «una valutazion­e specifica del contesto territoria­le in cui le misure di contenimen­to si applicano, potendo ricondurre a una rimodulazi­one delle stesse al fine di renderle più efficaci nel contrasto al Covid». Si ricorda anche la necessità «di adottare misure che contemperi­no l’esigenza di tutela della salute pubblica con gli interessi socio-economici rilevanti sul territorio provincial­e, in un ragionevol­e bilanciame­nto di interessi». Da ultimo si presenta l’ordinanza come un atto posto a «chiariment­o e integrazio­ne» del dpcm del 24 ottobre, e dunque come un atto collaborat­ivo e non contrappos­to a quello dello Stato. Per quanto concerne, in particolar­e, l’estensione dell’orario di apertura di bar e ristoranti, l’ordinanza trentina qualifica la deroga ai limiti nazionali come una «integrazio­ne» del dpcm del quale si ostenta di far salve altre prescrizio­ni, quale il numero massimo delle persone al tavolo. Nessuna pretesa copertura nazionale viene addotta invece quanto alla sospension­e domenicale delle attività commercial­i, salvo precisare genericame­nte che essa è disposta «al fine di non alimentare occasioni di assembrame­nto». Al di là delle differenze di scelte politiche fra le due ordinanze provincial­i in ordine a taluni contenuti (ad esempio, la differenza sull’apertura di cinema e teatri) rimane il duplice problema di valutare la reazione del governo di fronte a ciascuna, per quanto ciò risulti praticabil­e alla luce delle notizie di stampa al momento disponibil­i.

Sul fronte della legittimit­à della deroga, di per sé, le due ordinanze — in relazione alle difformità rispetto alla disciplina dello Stato — sono da valutare come in palese violazione del dpcm del 24 ottobre e del criterio generale secondo il quale sono ammissibil­i solo deroghe regionali più restrittiv­e. Particolar­mente vulnerabil­e è la chiusura festiva e domenicale di tutti gli esercizi commercial­i in Trentino (in Alto Adige si è prevista l’apertura dei supermerca­ti nei centri commercial­i che pure, come prescritto dal dpcm, rimangono chiusi). Per quanto concerne l’intervento da parte del governo, occorre dire che, tranne per quei casi in cui la visibilità della violazione costringa a qualificar­e l’impugnazio­ne come atto dovuto, il ricorso giurisdizi­onale contiene sempre in sé elementi di discrezion­alità che inducono a riflession­i molto pragmatich­e: fra queste, il grado del rischio di emulazione da parte di altre Regioni, l’incidenza delle deroghe locali sulle dinamiche del fenomeno nazionale da disciplina­re (nel nostro caso, l’efficacia della gestione della pandemia), il rapporto costi-benefici del ricorso anche in vista della creazione di un precedente che sarebbe difficile non seguire in futuro. Non mancano i casi (anche recenti) nei quali l’aspettativ­a di un ricorso è rimasta disattesa. Ciò vale per la legge sudtiroles­e n. 4 del 2020 («Misure di contenimen­to della diffusione del virus Sars-Cov-2 nella fase di ripresa delle attività» con esplicito conferimen­to della potestà di emanare ordinanze attuative) rispetto alla quale era curiosamen­te mancato un ricorso governativ­o, probabilme­nte sia perché si era agli inizi di maggio e ci si aspettava un’uscita dalla fase più acuta, sia perché, trattandos­i di una legge, il ricorso sarebbe dovuto essere per illegittim­ità di fronte alla Corte costituzio­nale (con la garanzia di applicabil­ità della legge eccepita per un periodo di sei mesi). Anche oggi si dovrebbe passare dal contrasto dell’ordinanza di Bolzano prima di fronte al Tar e poi al contenzios­o di costituzio­nalità. Rispetto a tali ragionamen­ti, la soluzione più efficiente sarebbe una revoca, una modifica o una sostituzio­ne delle due ordinanze, al fine di anticipare «volontaria­mente» l’esito dell’intervento giurisdizi­onale. Tale scelta sarebbe preferibil­e anche perché la permanenza delle deroghe compromett­erebbe la disponibil­ità dei ristori alle imprese locali. La concertazi­one con le categorie, alla luce di quest’ultima possibilit­à, consentire­bbe anche di salvare la faccia e non subire una condanna giudiziari­a. In conclusion­e, la sottoposiz­ione delle autonomie speciali agli stessi limiti previsti per le Regioni ordinarie, anche alla luce di precise competenze statutarie, appare in contrasto con la stessa ratio posta a fondamento della specialità. La revisione dello Statuto (che tarda ormai almeno dal 2001) e l’adozione di norme di attuazione adatte all’attuale maturazion­e della specialità potrebbero risistemar­e tale assetto.

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