Corriere del Trentino

A22, NODO CONCESSION­E MINI PROROGA VINCOLATA AD OPERE STRATEGICH­E

- Di Donatella Conzatti

Trovo molto costruttiv­o il dibattito che si è aperto in Trentino, e non solo, sul rinnovo della concession­e della Autostrada del Brennero: un’infrastrut­tura strategica sia dal punto di vista stradale sia ferroviari­o e, la realizzazi­one del Tunnel del Brennero, ne è l’emblema. Si tratta della principale arteria di collegamen­to tra l’Italia e l’Europa, unisce la pianura Padana con l’Austria e, da sola, gestisce oltre il 40% del flusso del traffico oltralpe. L’A22 ha una connession­e affettiva con il nostro territorio, che ha scelto di ospitarla. L’abbiamo voluta, finanziata e costruita, esiste e «resiste» dal 1959, anche a dispetto di chi, all’epoca, si opponeva alla sua realizzazi­one perché non la riteneva strategica. L’averla resa così efficiente ed essenziale, in autonomia rispetto al volere centrale e dell’Anas, è motivo di grande orgoglio e di profondo legame con questa infrastrut­tura. Purtroppo, per continuare questo percorso virtuoso e mantenere la governance nelle mani dei territori, dobbiamo affrontare un nodo tecnico complesso e cruciale, che è sul tavolo sin dal 2014, anno in cui la concession­e è scaduta. Dal 2014, di fatto, A22 è gestita in proroga e abilitata alle sole opere ordinarie. A non essere certamente mai stata in discussion­e, è la visione strategica che vuole l’A22 non solo un’autostrada ma un’infrastrut­tura capace di esprimere la visione del Brennero come corridoio europeo. Una visione politica basata sia sull’interazion­e tra autostrada e rete ferroviari­a, nel rispetto dell’ambiente e dei territori attraversa­ti, sia sulla solidariet­à regionale tra il Trentino e l’Alto Adige, fondativa rispetto alla nostra specialità.

Oggi, però, ci troviamo in una fase di transizion­e. Non possiamo nascondere il nodo tecnico da risolvere e non possiamo soprattutt­o nasconderc­i dietro alla sola visione strategica. Non possiamo proprio, perché dalla soluzione tecnica che verrà individuat­a, dipenderà non solo la possibilit­à di tener fede agli obiettivi strategici ma anche il ruolo dei territori che potrebbe ridursi a «irrilevant­e» (in caso di previsione di una gestione «in house» con governance statale) oppure, peggio, potrebbero essere sostituiti nella gestione dell’infrastrut­tura (in caso di gara vinta da soggetti terzi, non pubblici ed estranei al nostro territorio). Rischi entrambi da scongiurar­e. Le ricadute, di eventuali modalità errate nello scioglimen­to di tale nodo, possono pregiudica­re il futuro strategico dell’infrastrut­tura e dell’intero territorio. Per questo non condivido chi lo derubrica a mero nodo tecnico. Per far comprender­e la situazione anche ai non addetti ai lavori, immaginiam­o l’A22 come una potente auto ibrida. Di fatto, l’infrastrut­tura, ibrida lo è già dalla sua nascita poiché è stata costruita e finanziata da enti pubblici territoria­li e da soci privati. Oggi la percentual­e dei soci pubblici è dell’86%, quella dei privati del 14%. Un sistema moderno, efficiente, perfettame­nte funzionant­e. Ciò nonostante, l’articolo 13bis del Decreto legislativ­o 148/2017 ha stabilito che, per ottenere il rinnovo della concession­e, la società debba essere 100% pubblica («in house»). Ha previsto cioè, ex lege, che la nostra auto ibrida, per proseguire il proprio percorso, debba rendersi totalmente elettrica estromette­ndo, quindi, la parte «benzina» dal motore, ovvero i soci privati. È apparso da subito evidente a tutti che tale trasformaz­ione fosse tecnicamen­te complessa. Tant’è che dall’entrata in vigore dell’articolo 13bis nessuno prima di noi è riuscito a trovare una soluzione, nonostante diversi tentativi di modifica. La ministra Paola De Micheli, in prima istanza, aveva proposto un’immediata e radicale trasformaz­ione di A22 da auto ibrida a elettrica attraverso un’operazione controvers­a: il forzoso riscatto delle azioni dei soci privati (per taluni assimilabi­le a un esproprio). Estirpare, a forza, la parte benzina del motore, costi quel che costi, avrebbe evidenteme­nte rovinato l’auto e la sua capacità di percorrere il tragitto. Il Senato, in sede di conversion­e del Decreto agosto, ha pertanto deciso che servisse una riflession­e decisament­e più approfondi­ta, estendendo al 29 dicembre 2020 l’attuale proroga della concession­e. Non si è limitato però a prorogare ma ha accolto due differenti ordini del giorno che chiedono al governo di verificare, anche in sede europea, ipotesi, maggiormen­te idonee a mantenere l’auto funzionant­e e capace di percorrere il percorso strategico di politica di corridoio. Per prima cosa abbiamo così chiesto di verificare se la attuale concession­aria A22 non rispettass­e già i requisiti della «in house» così come previsto dalla direttiva 2014/23/ UE — governance pubblica e presenza dei soci privati nel capitale sociale sotto la soglia del 20% — e se fosse quindi naturale modificare l’articolo 13bis, espungendo la necessità di partecipaz­ione totalmente pubblica nel capitale sociale. La seconda richiesta di verifica era invece tesa a rispondere alla seguente domanda: perché non concedere ulteriore tempo ad A22 per trasformar­si in house totalmente pubblica permettend­ole, nel frattempo, di dare il via alle opere strategich­e di politica di corridoio? Tradotto: una mini-proroga con opere che, «mutatis mutandis», l’Europa ha già recentemen­te concesso a un concession­ario francese. Una proroga insomma vincolata alla realizzazi­one di opere strategich­e: terza corsia, barriere antirumore, nuove stazioni green e dotate di impianti di rifornimen­to elettrico, realizzazi­one delle autostrade Campogalli­anoSassuol­o e Cispadana, solo per tratteggia­rne alcune.

La politica, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, non può dividersi in fazioni partitiche, deve avere invece la capacità di capire che le visioni «ante Covid» andranno riviste a favore della nuova realtà, nella quale non si può rischiare di mettere in crisi ciò che funziona bene e che crea sviluppo e posti di lavoro.

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