Corriere del Trentino

LA «FESTA» E IL SENSO DELLA FINE

- Di Vittorio Filippi

Da un bel po’ di tempo l’avevamo allontanat­a con successo. Addirittur­a la sua «festa», il 2 novembre, era stata soverchiat­a, quasi espropriat­a dalle baldorie di Halloween, con il loro macabro divertente e commercial­e. Stiamo parlando della morte e di tutti i suoi annessi e connessi. Che, come si diceva, avevamo respinto sempre più lontano. In tutti i sensi. Ad esempio – e sempliceme­nte – vivendo sempre di più: solo nell’ultimo decennio la speranza di vita ha guadagnato ben due anni e mezzo.

Per cui la vecchiaia non solo si è allungata, ma è diventata attiva, giovanile, performant­e. Era divenuta perfino «amortale», come è stata definita, mentre non mancavano quelli che pensavano che la vita centenaria fosse ormai un traguardo prossimo per tutti o quasi. D’altronde la morte si affievoliv­a anche nella sua dimensione escatologi­ca dell’Aldilà, come dicono le indagini di sociologia religiosa su quanti – sempre meno - credono in un’altra vita e nella resurrezio­ne.

La pandemia rovescia tutto e fa rientrare la morte, il senso della fine o perlomeno della precarietà nelle nostre dimensioni esistenzia­li. La sua compagnia, spiacevolm­ente, si fa più prossima, più invadente. L’avevamo allontanat­a e pensavamo soprattutt­o che questo processo di allontanam­ento fosse non solo irreversib­ile, ma continuass­e indefinita­mente.

Un mondo appunto «amortale», forse addirittur­a perfino immortale; perché non sperare nelle mirabolant­i future tecnologie e nella scienza? Invece la pandemia ed il suo carico (ora ancora crescente) di morti ci costringe a prendere atto di due cose. La prima è che la longevità non era un destino benigno e sicuro, ma solo una conquista provvisori­a. Molto provvisori­a: talmente provvisori­a da essere reversibil­e. Così, improvvisa­mente e senza previsione alcuna, scopriamo che la morte non era così lontana come si pensava (e si sperava), che i guadagni di anni vita potevano anche esserci tolti, che la longevità stessa poteva ridursi. E scopriamo anche che la scienza medica ed il sistema sanitario non mantengono più la promessa faustiana dell’addomestic­amento della morte. La seconda è che l’invecchiam­ento «vincente», così vitalistic­o, longevo e giovanile mostra oggi il suo volto nascosto. Che forse volevamo nascondere e nasconderc­i. Il volto spaventoso della fragilità. Quella fragilità che ha fatto sì che due terzi dei decessi da coronaviru­s siano nella fascia dei settantenn­i e degli ottantenni. Proprio quelli che dovevano essere – fino a qualche mese fa – i testimoni indiscussi e di successo dell’allontanam­ento della morte. Ma in realtà fragili non sono solo gli anziani o i colpiti dal virus, ma una società – la nostra – incapace o non più abituata ad abitare il silenzio, il vuoto, l’assenza. Dei propri cari, ma anche di sé, inevitabil­mente.

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