QUELLE PERICOLOSE LACUNE
Se un giorno infausto il nostro datore di lavoro, in un momento di difficoltà per l’azienda, dovesse imporci un taglio cospicuo di ore lavorative e di stipendio, e fossimo in una situazione familiare nella quale non si fanno risparmi alla fine del mese, come ci comporteremmo? Raccogliendo i dati sulle nostre spese mensili e valutando quel che è essenziale e quel che invece è accessorio, in modo da evitare quest’ultimo.
Come previsto, anche il Trentino sta adesso entrando nella fase esponenziale della seconda ondata della pandemia, e le misure locali e nazionali di adeguamento si stanno moltiplicando e progressivamente inasprendo. Torniamo alla metafora, sostituendo il taglio stipendiale con la diffusione del coronavirus, e i dati di spesa domestica con i dati di rischio di contrarre il contagio. Siamo, oggi, come quel lavoratore che torna a casa e che scopre di non essere in grado di decidere, perché ha gettato gli scontrini e non ricorda, non ha traccia degli acquisti pregressi. Questa, giocoforza, era la situazione alla prima ondata. E quindi la domanda è: i dati di tracciamento raccolti allora avrebbero o no potuto aiutarci a capire se andare adesso dal parrucchiere o a teatro o in palestra o al centro commerciale è a rischio alto, medio, basso, o nullo? Il tracciamento, nelle epidemie, è viziato da molti problemi. Per citarne uno, il grado di certezza del dato dipende dai contesti di contagio: quello familiare è certo perché tutti faranno il tampone, quello su un autobus molto dubbio.
Epoi c’è il dramma della privacy per l’app Immuni — limitatamente ai pochi utenti — che lascia il tracciamento manuale l’unico utile a fornire dati attendibili. Ma il problema maggiore è la componente ignota: nessuno dei sistemi di tracciamento messi in piedi in Europa, anche con grande dispiegamento di mezzi, è riuscito a coprire più di una frazione dei contagi durante la prima ondata, e quindi rimane il dubbio che i dati siano un campione non rappresentativo della situazione reale. Tuttavia, è interessante riportare che i dati di tracciamento sono stati usati, per esempio, in Germania. Di recente l’associazione dei ristoratori di Berlino ha ottenuto un’ingiunzione giudiziaria per la sospensione del coprifuoco imposto dal governo statale basandosi sui grafici del Robert Koch Institute, l’Istituto Superiore di Sanità tedesco. Dai dati si evince che durante la prima ondata i contatti familiari, lavorativi e ospedalieri la fanno da padrone, mentre ristoranti e bar sono quasi ininfluenti. Da qui l’azione giudiziaria di successo dei ristoratori berlinesi.
Noi, in Italia, ci siamo fermati molto prima. I dati italiani di tracciamento sulla prima ondata sono non omogenei e quindi in gran parte inutilizzabili, spesso scarsi, spesso lacunosi, o semplicemente — chissà perché — spesso non disponibili. Abbiamo per esempio una buona copertura sulle scuole che infatti ha permesso qualche ragionamento, curiosamente da parte di ricercatori accademici e non da chi sarebbe preposto. E allora il miglior modo teorico di realizzare il «lockdown chirurgico», il fare blocchi selettivi per attività a cominciare da quelle a livelli più alti di rischio, si ferma di fronte all’impossibilità logistica di acquisire un quadro generale abbastanza attendibile da dirci quali sono, di fatto, le attività ad alto rischio. Il nostro lavoratore dell’inizio rimarrà con il suo problema di smemorato, e il governo chiuderà per lui tutti i canali di acquisto perché lui non sa dove lo attende davvero il default finanziario.
La cosa vale, a maggior ragione, con gli indici Rt di questi giorni, con i quali il tracciamento si perde nella polvere. Nonostante il ritardo con la quale è arrivata in particolare in Trentino, d’ora innanzi la seconda ondata potremo solo inseguirla. E subire misure davvero poco chirurgiche, che purtroppo questa volta saranno anche più durature. Per cui dovranno essere pensate con il bilancino in buon equilibrio fra danno economico e saturazione delle terapie intensive. Con il conforto, almeno, di una maggiore curabilità dei pazienti.