Corriere del Trentino

QUELLE PERICOLOSE LACUNE

- di Alessandro Quattrone

Se un giorno infausto il nostro datore di lavoro, in un momento di difficoltà per l’azienda, dovesse imporci un taglio cospicuo di ore lavorative e di stipendio, e fossimo in una situazione familiare nella quale non si fanno risparmi alla fine del mese, come ci comportere­mmo? Raccoglien­do i dati sulle nostre spese mensili e valutando quel che è essenziale e quel che invece è accessorio, in modo da evitare quest’ultimo.

Come previsto, anche il Trentino sta adesso entrando nella fase esponenzia­le della seconda ondata della pandemia, e le misure locali e nazionali di adeguament­o si stanno moltiplica­ndo e progressiv­amente inasprendo. Torniamo alla metafora, sostituend­o il taglio stipendial­e con la diffusione del coronaviru­s, e i dati di spesa domestica con i dati di rischio di contrarre il contagio. Siamo, oggi, come quel lavoratore che torna a casa e che scopre di non essere in grado di decidere, perché ha gettato gli scontrini e non ricorda, non ha traccia degli acquisti pregressi. Questa, giocoforza, era la situazione alla prima ondata. E quindi la domanda è: i dati di tracciamen­to raccolti allora avrebbero o no potuto aiutarci a capire se andare adesso dal parrucchie­re o a teatro o in palestra o al centro commercial­e è a rischio alto, medio, basso, o nullo? Il tracciamen­to, nelle epidemie, è viziato da molti problemi. Per citarne uno, il grado di certezza del dato dipende dai contesti di contagio: quello familiare è certo perché tutti faranno il tampone, quello su un autobus molto dubbio.

Epoi c’è il dramma della privacy per l’app Immuni — limitatame­nte ai pochi utenti — che lascia il tracciamen­to manuale l’unico utile a fornire dati attendibil­i. Ma il problema maggiore è la componente ignota: nessuno dei sistemi di tracciamen­to messi in piedi in Europa, anche con grande dispiegame­nto di mezzi, è riuscito a coprire più di una frazione dei contagi durante la prima ondata, e quindi rimane il dubbio che i dati siano un campione non rappresent­ativo della situazione reale. Tuttavia, è interessan­te riportare che i dati di tracciamen­to sono stati usati, per esempio, in Germania. Di recente l’associazio­ne dei ristorator­i di Berlino ha ottenuto un’ingiunzion­e giudiziari­a per la sospension­e del coprifuoco imposto dal governo statale basandosi sui grafici del Robert Koch Institute, l’Istituto Superiore di Sanità tedesco. Dai dati si evince che durante la prima ondata i contatti familiari, lavorativi e ospedalier­i la fanno da padrone, mentre ristoranti e bar sono quasi ininfluent­i. Da qui l’azione giudiziari­a di successo dei ristorator­i berlinesi.

Noi, in Italia, ci siamo fermati molto prima. I dati italiani di tracciamen­to sulla prima ondata sono non omogenei e quindi in gran parte inutilizza­bili, spesso scarsi, spesso lacunosi, o sempliceme­nte — chissà perché — spesso non disponibil­i. Abbiamo per esempio una buona copertura sulle scuole che infatti ha permesso qualche ragionamen­to, curiosamen­te da parte di ricercator­i accademici e non da chi sarebbe preposto. E allora il miglior modo teorico di realizzare il «lockdown chirurgico», il fare blocchi selettivi per attività a cominciare da quelle a livelli più alti di rischio, si ferma di fronte all’impossibil­ità logistica di acquisire un quadro generale abbastanza attendibil­e da dirci quali sono, di fatto, le attività ad alto rischio. Il nostro lavoratore dell’inizio rimarrà con il suo problema di smemorato, e il governo chiuderà per lui tutti i canali di acquisto perché lui non sa dove lo attende davvero il default finanziari­o.

La cosa vale, a maggior ragione, con gli indici Rt di questi giorni, con i quali il tracciamen­to si perde nella polvere. Nonostante il ritardo con la quale è arrivata in particolar­e in Trentino, d’ora innanzi la seconda ondata potremo solo inseguirla. E subire misure davvero poco chirurgich­e, che purtroppo questa volta saranno anche più durature. Per cui dovranno essere pensate con il bilancino in buon equilibrio fra danno economico e saturazion­e delle terapie intensive. Con il conforto, almeno, di una maggiore curabilità dei pazienti.

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