LA POLITICA E LE PAROLE
«Le parole sono importanti» diceva Nanni Moretti in un film sulla crisi della sinistra italiana.
In una situazione come quella che stiamo vivendo servirebbero parole forti, chiare e semplici. «Sangue, sudore e lacrime» offrì Winston Churchill ai suoi concittadini nel 1940. Parole che chiunque era subito in grado di capire. Le parole scelte dai nostri amministratori, sin dall’inizio di questa pandemia, sono state sfocate.
Ma anche confuse, ingiustificata mente complicate. Non è un dettaglio ameno o ironico, ma un indicatore che rivela l’incapacità di nominare, e quindi di comprendere la realtà e di farsi comprendere dai cittadini.
Si è partiti in primavera con «assembramento», termine poco usato nel linguaggio comune e che alcuni non avevano mai sentito prima. Oltretutto spesso utilizzato in questa pandemia in modo sbagliato per indicare manifestazioni di protesta o ritrovi mentre l’assembramento, a differenza della riunione, è «casuale e non concordato».
Si è poi passati ai famosi «congiunti», divenuta rapidamente una delle parole più cercate su Google. Naturalmente l’intenzione della politica, a fine lockdown, era semplicemente quella di allentare i vincoli degli incontri, ma non troppo. Il compromesso linguistico si è rivelato subito infelice e impossibile da applicare. «La maggior parte dei contagi avviene in famiglia» ha dichiarato qualche settimana fa in tv il ministro della salute minacciando una stretta sugli incontri a casa. E pareva sul punto di dire «chiudiamo le famiglie», prima che il conduttore gli facesse notare l’impossibilità di dar seguito a una proibizione degli incontri domestici in uno stato di diritto.
Non si è stati neppure capaci di dare un’indicazione chiara, in settembre, sull’orario di chiusura dei bar, dimenticandosi di specificare che non si poteva poi riaprire un quarto d’ora dopo, come hanno fatto lestamente alcuni esercenti.
È infine arrivata dal presidente del consiglio la promessa dei «ristori». «Ristori»: una parola che per tutti noi evocava scampagnate e corse podistiche amatoriali. Perché non chiamarli con il loro nome? Si tratta di sussidi a fondo perduto per sostenere attività commerciali nel tentativo di scongiurarne chiusura definitiva. Nella scelta di queste parole c’è uno scollamento tra la realtà (immaginaria) che si pretende di realizzare per decreto (anzi per Dpcm) e quella in cui vivono le persone normali, quelli che devono prendere i mezzi di trasporto affollati perché ci si è dimenticati che non basta riaprire le scuole e gli uffici se poi non ci si può arrivare in sicurezza. «Hanno perso il contatto con le masse» si diceva una volta nella stessa area politica da cui provengono molti ministri e amministratori. Ci sono definitivamente riusciti, purtroppo nel momento storico meno adatto.