INVENTARE IL FUTURO
Irecenti dati dell’Acri (Associazione Fondazioni e Casse di Risparmio) e le dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia Visco, hanno posto un riflettore sull’andamento del risparmio degli italiani, sensibilmente cresciuto in questi mesi di pandemia. Tale andamento viene visto in termini critici: poiché i redditi non sono aumentati, la crescita del risparmio significa una contrazione dei consumi. Discorso simile per le aziende: chi ha lavorato e magari incrementato il fatturato, non ha investito.
Noi viviamo in una società basata sul consumo. Alcuni anni fa organizzai un ciclo di incontri pubblici in Valsugana, dal titolo «Se il mondo cresce meno, esiste il piano B?». Ebbene, emerse che il piano B non esiste. La contrazione di consumi e investimenti mette a rischio la stessa sostenibilità finanziaria del nostro modello di sviluppo e di welfare, che è fondamentalmente basata sul debito. Dal punto di vista «filosofico» il debito altro non è se non anticipazione di ricchezza futura: per una famiglia che acquista la casa, per un’azienda che investe in una nuova linea produttiva, o per un Paese che si indebita. Ciò che rende sostenibile il debito è la crescita: se non si cresce — e si cresce solo attraverso consumi e investimenti — il mondo si ferma. Forse può apparire cinico parlare di questi temi in un momento drammatico, dove la pandemia è ritornata a mordere, però ritengo che accanto alla pandemia sanitaria, si debba prestare grande attenzione anche alla pandemia economica e sociale, che rischiano di avere conseguenze molto gravi, una volta risolta la prima. La crescente propensione al risparmio è basata essenzialmente su due ragioni, tra loro concatenate e che si amplificano a vicenda. Da un lato è oggettivamente difficile consumare: la nostra stessa socialità, oggi fortemente vincolata, genera consumo. Il nostro tempo libero, idem. Tutte le cose che ora non possiamo fare, a seguito dei vincoli e delle raccomandazioni volte a contenere il contagio, tagliano i consumi. Accanto a questa ragione vi è l’incertezza del futuro, che invece riduce la propensione al consumo e all’investimento. Banalmente, io ho per il momento rinviato il noleggio dell’attrezzatura invernale per i miei figli, semplicemente perché al momento non so se il prossimo inverno si potrà sciare. Questo è un micro-comportamento, che però deve essere moltiplicato per centinaia di milioni di consumatori in tutto il mondo occidentale. Oggi, se non si tratta di acquisti necessari, si preferisce rinviare: nel dubbio, meglio avere qualche risparmio in più.
Il discorso è analogo per le aziende: sono poche quelle che investono, anche se andrebbero premiate per la loro capacità di guardare a un domani che, ne sono certo, sarà più sereno dell’oggi, anche se il percorso che dobbiamo affrontare è ancora lungo.
La politica non può fare molto, ma qualcosa dovrebbe fare. Christine Lagarde, dalla guida della BCE, ha detto che a breve la BCE ci stupirà con ulteriori misure non convenzionali, anche se la storia economica dimostra come non sempre basti abbassare il costo del denaro per far ripartire consumi e investimenti. L’azione politica, infatti, non deve essere solo finanziaria: vedo una politica che si concentra sugli aspetti finanziari come fuga dalla vera «Politica».
Quello che servirebbe è infatti complicato per la nostra politica, quella che la maggioranza di noi ha voluto, proprio perché vive l’oggi, e considera il domani come un elemento di complessità e il dopodomani è già troppo lontano. Quello che serve ora, e che da marzo a oggi è mancato, è un percorso di medio-lungo termine, che a sua volta si basi su una visione futura. Il mondo occidentale non può inseguire i problemi aggiustando i danni, ma dovrebbe superarli facendosi trovare preparato. Questo riguarda la politica internazionale, come quella nazionale e quella locale. Ho già scritto più volte su queste colonne di come sarebbe importante non sprecare questa crisi. Una crisi di questa portata si supera anche con visioni e azioni non convenzionali, un po’ come fece Marchionne per salvare la Fiat. Non ho la pretesa di indicare le soluzioni, però mi pare ad esempio assurdo il dibattito sulla limitazione della portata degli impianti di risalita. Temo potranno anche viaggiare al 100% della portata, senza problemi, dato che probabilmente le piste nei prossimi mesi saranno vuote: via gli stranieri, via molti italiani. E quindi? Dovremo accorgerci del problema nel mitico fine settimana dell’Immacolata, tradizionale kick-off day della stagione sciistica, o avremmo dovuto prevedere questo possibile scenario sin dallo scorso aprile? L’industria del turismo si basa sulla pianificazione: le piste vanno preparate per tempo, gli alberghi raccolgono prenotazioni a partire dall’estate, si assume personale, si organizzano gli ski-bus e tutti i servizi connessi. Ma se, semplicemente, nessuno sa cosa succederà, chi si muove? Il provare a partire vuol dire spendere comunque milioni di euro: ha senso? Perché dunque non sfruttare questa crisi per immaginare un diverso sviluppo turistico del Trentino? Ecco, quello che dovrebbe essere fatto in questo momento, e che sarà sempre più importante in futuro, è proprio cercare soluzioni per gestire l’incertezza, senza limitarsi a vivere la quotidianità. La nostra stessa vita deve avere una prospettiva, altrimenti ci limitiamo a essere, come scrive il filosofo ByungChul Han, dei «non-morti», che si limitano a moltiplicarsi per sopravvivere, ma senza vivere davvero.