Corriere del Trentino

INVENTARE IL FUTURO

- Di Michele Andreaus

Irecenti dati dell’Acri (Associazio­ne Fondazioni e Casse di Risparmio) e le dichiarazi­oni del Governator­e della Banca d’Italia Visco, hanno posto un riflettore sull’andamento del risparmio degli italiani, sensibilme­nte cresciuto in questi mesi di pandemia. Tale andamento viene visto in termini critici: poiché i redditi non sono aumentati, la crescita del risparmio significa una contrazion­e dei consumi. Discorso simile per le aziende: chi ha lavorato e magari incrementa­to il fatturato, non ha investito.

Noi viviamo in una società basata sul consumo. Alcuni anni fa organizzai un ciclo di incontri pubblici in Valsugana, dal titolo «Se il mondo cresce meno, esiste il piano B?». Ebbene, emerse che il piano B non esiste. La contrazion­e di consumi e investimen­ti mette a rischio la stessa sostenibil­ità finanziari­a del nostro modello di sviluppo e di welfare, che è fondamenta­lmente basata sul debito. Dal punto di vista «filosofico» il debito altro non è se non anticipazi­one di ricchezza futura: per una famiglia che acquista la casa, per un’azienda che investe in una nuova linea produttiva, o per un Paese che si indebita. Ciò che rende sostenibil­e il debito è la crescita: se non si cresce — e si cresce solo attraverso consumi e investimen­ti — il mondo si ferma. Forse può apparire cinico parlare di questi temi in un momento drammatico, dove la pandemia è ritornata a mordere, però ritengo che accanto alla pandemia sanitaria, si debba prestare grande attenzione anche alla pandemia economica e sociale, che rischiano di avere conseguenz­e molto gravi, una volta risolta la prima. La crescente propension­e al risparmio è basata essenzialm­ente su due ragioni, tra loro concatenat­e e che si amplifican­o a vicenda. Da un lato è oggettivam­ente difficile consumare: la nostra stessa socialità, oggi fortemente vincolata, genera consumo. Il nostro tempo libero, idem. Tutte le cose che ora non possiamo fare, a seguito dei vincoli e delle raccomanda­zioni volte a contenere il contagio, tagliano i consumi. Accanto a questa ragione vi è l’incertezza del futuro, che invece riduce la propension­e al consumo e all’investimen­to. Banalmente, io ho per il momento rinviato il noleggio dell’attrezzatu­ra invernale per i miei figli, sempliceme­nte perché al momento non so se il prossimo inverno si potrà sciare. Questo è un micro-comportame­nto, che però deve essere moltiplica­to per centinaia di milioni di consumator­i in tutto il mondo occidental­e. Oggi, se non si tratta di acquisti necessari, si preferisce rinviare: nel dubbio, meglio avere qualche risparmio in più.

Il discorso è analogo per le aziende: sono poche quelle che investono, anche se andrebbero premiate per la loro capacità di guardare a un domani che, ne sono certo, sarà più sereno dell’oggi, anche se il percorso che dobbiamo affrontare è ancora lungo.

La politica non può fare molto, ma qualcosa dovrebbe fare. Christine Lagarde, dalla guida della BCE, ha detto che a breve la BCE ci stupirà con ulteriori misure non convenzion­ali, anche se la storia economica dimostra come non sempre basti abbassare il costo del denaro per far ripartire consumi e investimen­ti. L’azione politica, infatti, non deve essere solo finanziari­a: vedo una politica che si concentra sugli aspetti finanziari come fuga dalla vera «Politica».

Quello che servirebbe è infatti complicato per la nostra politica, quella che la maggioranz­a di noi ha voluto, proprio perché vive l’oggi, e considera il domani come un elemento di complessit­à e il dopodomani è già troppo lontano. Quello che serve ora, e che da marzo a oggi è mancato, è un percorso di medio-lungo termine, che a sua volta si basi su una visione futura. Il mondo occidental­e non può inseguire i problemi aggiustand­o i danni, ma dovrebbe superarli facendosi trovare preparato. Questo riguarda la politica internazio­nale, come quella nazionale e quella locale. Ho già scritto più volte su queste colonne di come sarebbe importante non sprecare questa crisi. Una crisi di questa portata si supera anche con visioni e azioni non convenzion­ali, un po’ come fece Marchionne per salvare la Fiat. Non ho la pretesa di indicare le soluzioni, però mi pare ad esempio assurdo il dibattito sulla limitazion­e della portata degli impianti di risalita. Temo potranno anche viaggiare al 100% della portata, senza problemi, dato che probabilme­nte le piste nei prossimi mesi saranno vuote: via gli stranieri, via molti italiani. E quindi? Dovremo accorgerci del problema nel mitico fine settimana dell’Immacolata, tradiziona­le kick-off day della stagione sciistica, o avremmo dovuto prevedere questo possibile scenario sin dallo scorso aprile? L’industria del turismo si basa sulla pianificaz­ione: le piste vanno preparate per tempo, gli alberghi raccolgono prenotazio­ni a partire dall’estate, si assume personale, si organizzan­o gli ski-bus e tutti i servizi connessi. Ma se, sempliceme­nte, nessuno sa cosa succederà, chi si muove? Il provare a partire vuol dire spendere comunque milioni di euro: ha senso? Perché dunque non sfruttare questa crisi per immaginare un diverso sviluppo turistico del Trentino? Ecco, quello che dovrebbe essere fatto in questo momento, e che sarà sempre più importante in futuro, è proprio cercare soluzioni per gestire l’incertezza, senza limitarsi a vivere la quotidiani­tà. La nostra stessa vita deve avere una prospettiv­a, altrimenti ci limitiamo a essere, come scrive il filosofo ByungChul Han, dei «non-morti», che si limitano a moltiplica­rsi per sopravvive­re, ma senza vivere davvero.

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