Dal genoma dei pesci a 1.700 tamponi giornalieri
Viaggio nei laboratori della Fem dove una cinquantina di ricercatori si occupa del Coronavirus.
TRENTO Prima dell’inizio della pandemia si occupava principalmente dello studio del genoma delle popolazioni naturali di specie animali e vegetali. Poi tramite una stessa piattaforma tecnologica — «Fu un tecnico, anni fa, a consigliarmi l’acquisto di questa macchina» — ha smesso di sequenziare il genoma di pesci o grandi carnivori e ha cominciato ad analizzare i tamponi che permettono di capire se si è positivi al coronavirus. «Essendo biologi, ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che avremmo dovuto fare la nostra parte» racconta Heidi Christine Hauffe, responsabile del Dipartimento biodiversità ed ecologia molecolare del «Centro ricerca e innovazione» della Fondazione Edmund Mach e coordinatrice dell’Unità di ricerca «Genetica di conservazione». Da ormai qualche mese, insieme ai colleghi Kieran Tuohy e Massimo Pindo, la ricercatrice è infatti alla guida del team di lavoro impegnato tutti i giorni nell’analisi dei tamponi nei laboratori Fem: a partire da aprile ne sono stati analizzati oltre 70 mila. Com’è nata la collaborazione con l’Azienda sanitaria?
«Noi siamo esperti in varie tecnologie molecolari e utilizzavamo già in altri ambiti le stesse tecniche con le quali si analizzano oggi i tamponi. Lo abbiamo comunicato al direttore e poi è stato stretto l’accordo con l’Azienda sanitaria. Oggi lavoriamo nei nostri laboratori con gli stessi standard di sicurezza del Laboratorio di microbiologia dell’ospedale Santa Chiara di Trento». Quali sono gli altri ambiti?
«Normalmente utilizziamo le stesse tecniche per analizzare campioni meno invasivi appartenenti a grandi carnivori e a tanti altri organismi, come per esempio il pelo di un animale. Uno degli scopi principali del nostro gruppo di ricerca è quello di migliorare la gestione della pesca sportiva: in sostanza, prima di rilasciare nei fiumi i pesci allevati, noi testiamo il loro genoma per preservare le
popolazioni ittiche autoctone». Oggi invece com’è strutturata la giornata di lavoro?
«La diagnostica è molto diversa dalla ricerca: devi essere assolutamente uguale ogni giorno. Alle 7.30 riceviamo i tamponi raccolti dai medici del Laboratorio dell’ospedale e si inizia con l’estrazione dell’Rna virale da un piccola parte del liquido contenuto in ogni tampone. Dopodiché l’Rna estratto viene portato alla piattaforma di sequenziamento (la stessa utilizzata per lo studio del genoma delle specie animali, ndr) e amplificato attraverso un kit di reagenti. La macchina ci dice poi se c’è o meno l’Rna del virus, ossia se un tampone è o non è positivo. Infine, si fa un ulteriore controllo interno e attorno alle 21 o alle 22 carichiamo i risultati nel software dell’Azienda sanitaria, che a sua volta procede alla validazione dei risultati».
Quanti tamponi riuscite ad analizzare ogni giorno?
«Possiamo analizzare anche 1.700 tamponi al giorno, ma in questo momento in cui ci sono molti più tamponi positivi arriviamo a massimo 1.200-1.300 tamponi perché il processo di analisi dei casi positivi richiede più tempo». È possibile implementare l’attività?
«Noi abbiamo già fatto un grande sforzo. Con le attrezzature e il numero di persone che abbiamo a disposizione — una cinquantina tra tecnici e ricercatori — stiamo facendo il massimo. È difficile dire in questo momento se ci sono margini per potenziare l’attività perché dipende da troppi fattori. Tra cui i protocolli che possiamo seguire. I tamponi rapidi accelererebbero sicuramente i tempi della diagnosi e alleggerirebbero il nostro lavoro».