LE RINUNCE PER IL BENE DELLA CITTÀ
In un momento in cui una paralisi collettiva sta bloccando la comunità internazionale causa Covid, è giunta l’ora delle scelte. Tutti ci chiediamo che cosa vuol fare l’umanità sia a livello globale sia locale. Si vuole proseguire sulla strada della divisione o prendere quella della solidarietà? Naturalmente tali scelte riguardano anche il futuro delle città. Ed è proprio all’interno di queste ineludibili opzioni che il recente interesse di imprenditori sudtirolesi e austriaci in merito allo sviluppo e alla rigenerazioni di aree centrali del capoluogo ha risvegliato l’attenzione del mondo imprenditoriale trentino che dell’amministrazione comunale. Ma questo rinnovato interesse non può limitarsi ad applicare strumenti e metodi di trasformazione urbana in parte usurati. Mi spiego. Il tema del rapporto pubblicoprivato da tempo si trova al centro di un dibattito per lo più ideologico e basato sulla contrapposizione tra «pubblico è bello» e «privato è bello». Nella storia urbanistica degli ultimi 50 anni si è passati da un approccio «tutto pubblico», che ha caratterizzato la prima stagione riformistica degli anni Sessanta e Settanta, a uno «pubblico-privato», come si è delineato a partire dalla prima metà degli anni Novanta. Ora siamo fermi alla solita dimensione contrattualistica della politica urbanistica, alla distinzione tra pianificatori e pianificati, alla logica e all’approccio negoziale dello scambio fra due entità — il pubblico e il privato — che conservano interessi diversi.
Credo però che l’accentuarsi della crisi economica innestato dalla pandemia debba farci riflettere sulla necessità di approcci diversi anche ai temi della rigenerazione e della riqualificazione urbana. Si tratta di pensare a un cambio di paradigma che riesca a compenetrare gli interessi pubblici e quelli privati in un ottica di solidarietà generalizzata finalizzata a non prolungare la crisi e a dare una speranza di futuro solidale e con obiettivi comuni.
Le complesse trasformazioni che a partire dalla fine degli anni Settanta sono intercorse nei modi di rapportarsi alla città, hanno indotto un sostanziale ripensamento delle metodologie della pianificazione: dalla centralità assunta dal tema delle risorse, dalla loro carenza relativa e dalla loro possibile mobilitazione, fa riscontro l’ineludibilità di logiche di compartecipazione tra pubblico e privato. Appare molto difficile pensare oggi a ipotesi di piano estranee a esse, quindi è necessario pensare a forme di sinergie stabili tra pubblico e privato, come due giocatori che si muovono nella stessa squadra. Si tratta di avere più fantasia partendo dalla convinzione che da questa crisi non si può uscire senza la compartecipazione del privato con il pubblico nei processi riguardanti la rigenerazione urbana. Insomma bisogna passare dal progetto contrattato a quello comune.
Certo, siamo davanti a una strada complessa e non priva di difficoltà che induce la pubblica amministrazione ad assumere un ruolo attivo e non solo pianificatorio o di semplice regia nel processo di trasformazione, che la obbliga a mitigare e a ridurre l’eccesso di burocratizzazione costringendo dall’altra parte il privato a mitigare l’eccesso di profitto e di mercato puntando piuttosto sulla qualità degli insediamenti. Diventa allora importante pensare a un nuovo modello di riferimento per i rapporti tra l’operatore privato e l’amministrazione con la definizione di regole precise, eque, trasparenti, snelle governate (e non subite) dall’amministrazione, che disciplinino i rapporti tra i diversi attori. Solo in un simile rapporto di cooperazione possiamo pensare di rigenerare la città e renderla più bella, umana e giusta.