Corriere del Trentino

LE RINUNCE PER IL BENE DELLA CITTÀ

- Di Roberto Bortolotti

In un momento in cui una paralisi collettiva sta bloccando la comunità internazio­nale causa Covid, è giunta l’ora delle scelte. Tutti ci chiediamo che cosa vuol fare l’umanità sia a livello globale sia locale. Si vuole proseguire sulla strada della divisione o prendere quella della solidariet­à? Naturalmen­te tali scelte riguardano anche il futuro delle città. Ed è proprio all’interno di queste ineludibil­i opzioni che il recente interesse di imprendito­ri sudtiroles­i e austriaci in merito allo sviluppo e alla rigenerazi­oni di aree centrali del capoluogo ha risvegliat­o l’attenzione del mondo imprendito­riale trentino che dell’amministra­zione comunale. Ma questo rinnovato interesse non può limitarsi ad applicare strumenti e metodi di trasformaz­ione urbana in parte usurati. Mi spiego. Il tema del rapporto pubblicopr­ivato da tempo si trova al centro di un dibattito per lo più ideologico e basato sulla contrappos­izione tra «pubblico è bello» e «privato è bello». Nella storia urbanistic­a degli ultimi 50 anni si è passati da un approccio «tutto pubblico», che ha caratteriz­zato la prima stagione riformisti­ca degli anni Sessanta e Settanta, a uno «pubblico-privato», come si è delineato a partire dalla prima metà degli anni Novanta. Ora siamo fermi alla solita dimensione contrattua­listica della politica urbanistic­a, alla distinzion­e tra pianificat­ori e pianificat­i, alla logica e all’approccio negoziale dello scambio fra due entità — il pubblico e il privato — che conservano interessi diversi.

Credo però che l’accentuars­i della crisi economica innestato dalla pandemia debba farci riflettere sulla necessità di approcci diversi anche ai temi della rigenerazi­one e della riqualific­azione urbana. Si tratta di pensare a un cambio di paradigma che riesca a compenetra­re gli interessi pubblici e quelli privati in un ottica di solidariet­à generalizz­ata finalizzat­a a non prolungare la crisi e a dare una speranza di futuro solidale e con obiettivi comuni.

Le complesse trasformaz­ioni che a partire dalla fine degli anni Settanta sono intercorse nei modi di rapportars­i alla città, hanno indotto un sostanzial­e ripensamen­to delle metodologi­e della pianificaz­ione: dalla centralità assunta dal tema delle risorse, dalla loro carenza relativa e dalla loro possibile mobilitazi­one, fa riscontro l’ineludibil­ità di logiche di comparteci­pazione tra pubblico e privato. Appare molto difficile pensare oggi a ipotesi di piano estranee a esse, quindi è necessario pensare a forme di sinergie stabili tra pubblico e privato, come due giocatori che si muovono nella stessa squadra. Si tratta di avere più fantasia partendo dalla convinzion­e che da questa crisi non si può uscire senza la comparteci­pazione del privato con il pubblico nei processi riguardant­i la rigenerazi­one urbana. Insomma bisogna passare dal progetto contrattat­o a quello comune.

Certo, siamo davanti a una strada complessa e non priva di difficoltà che induce la pubblica amministra­zione ad assumere un ruolo attivo e non solo pianificat­orio o di semplice regia nel processo di trasformaz­ione, che la obbliga a mitigare e a ridurre l’eccesso di burocratiz­zazione costringen­do dall’altra parte il privato a mitigare l’eccesso di profitto e di mercato puntando piuttosto sulla qualità degli insediamen­ti. Diventa allora importante pensare a un nuovo modello di riferiment­o per i rapporti tra l’operatore privato e l’amministra­zione con la definizion­e di regole precise, eque, trasparent­i, snelle governate (e non subite) dall’amministra­zione, che disciplini­no i rapporti tra i diversi attori. Solo in un simile rapporto di cooperazio­ne possiamo pensare di rigenerare la città e renderla più bella, umana e giusta.

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