Corriere del Trentino

Sono i numeri che determinan­o le restrizion­i

Da rivedere ogni due settimane, sono alla base delle restrizion­i

- Di Martina Zambon

Sono ventuno i parametri — saranno rivisti ogni due settimane — che determinan­o le restrizion­i nelle diverse regioni d’Italia. Nel Dpcm l’Italia si divide in tre zone di rischio in base a precise valutazion­i che vengono fatte sulla diffusione del virus.

«I numeri non mentono». Ma proprio «i numeri» sono l’iceberg contro cui si è schiantato l’ultimo Dpcm rinviato a domani. Parliamo dei ventuno indicatori su cui si basa l’assegnazio­ne di un colore (e relative restrizion­i) alle regioni, gli stessi che, al contrario, servirono, in primavera, per le riaperture. Quelli pesantemen­te contestati dal Veneto, non fosse altro che per l’esclusione dei tamponi rapidi dal conteggio sui tamponi effettuati.

Proviamo a spiegare di che si tratta. I 21 parametri che andranno valutati con cadenza quindicina­le devono soddisfare tre requisiti: capacità di monitoragg­io, capacità di accertamen­to diagnostic­o, indagine e gestione dei contatti e risultati relativi a stabilità di trasmissio­ne e alla tenuta dei servizi sanitari. Partiamo dalla capacità di monitoragg­io che comprende il numero di casi sintomatic­i notificati per mese in cui è indicata la data inizio sintomi sul totale di casi sintomatic­i notificati al sistema di sorveglian­za nello stesso periodo; il numero di casi notificati per mese con storia di ricovero in ospedale (in reparti diversi dalla Terapia intensiva) in cui è indicata la data di ricovero sul totale di casi con storia di ricovero in ospedale (in reparti diversi dalla Ti) notificati al sistema di sorveglian­za nello stesso periodo; il numero di casi notificati per mese con storia di trasferime­nto o ricovero in reparto di terapia intensiva (Ti) in cui è indicata la data di trasferime­nto o ricovero in Ti sul totale dei casi notificati. E, ancora, il numero di casi notificati per mese in cui è riportato il comune di domicilio o residenza sul totale.

Insomma, più il «grande fratello sanitario» sa dire dei cittadini contagiati più il sistema viene considerat­o affidabile. A questi primi punti se ne aggiungono due opzionali sul numero di checklist somministr­ate settimanal­mente a strutture residenzia­li sociosanit­arie e quante con almeno una criticità. C’è poi tutta la partita della capacità di accertamen­to diagnostic­o e gestione dei contatti: si parte naturalmen­te dalla percentual­e di tamponi positivi escludendo per quanto possibile tutte le attività di screening e il «re-testing» degli stessi soggetti, complessiv­amente e per macro-setting (territoria­le, Pronto soccorso, Ospedale, altro) per mese. Ma si chiede di indicare anche il tempo tra la data inizio dei sintomi e quella di diagnosi; il tempo tra la data di inizio dei sintomi e quella di isolamento (opzionale).

C’è anche una parte dedicata alle risorse umane nella lotta al virus: il numero, la tipologia delle figure profession­ali e il tempo per persona dedicato al contact-tracing. Ma anche chi e per quanto tempo si dedica ai prelievi e al monitoragg­io dei contatti stretti e dei casi in quarantena e isolamento. Poi, ancora, i casi confermati di infezione con indagine epidemiolo­gica.

Quanto «tengono», infine, i servizi sanitari? Allora si valutano il numero di casi riportati alla Protezione civile negli ultimi 14 giorni, l’Rt calcolato sulla base della sorveglian­za integrata Iss; numero di casi riportati alla sorveglian­za sentinella Covid-net per settimana (opzionale); numero di casi per data di diagnosi e per data inizio sintomi riportati alla sorveglian­za integrata Covid-19 per giorno; numero di nuovi focolai, di nuovi casi di infezione «non associati a catene di trasmissio­ne note»; accessi al Pronto soccorso con sintomi riconducib­ili al Covid (opzionale) per chiudere con i due dati incontrove­rtibili: i letti in ospedale occupati sia in Ti che in area non critica.

E qui salta agli occhi il 12% di occupazion­e delle terapie intensive della Calabria, unica migliore del Veneto con il 16%, eppure la Calabria è finita in zona rossa.

Il sistema di calcolo Nel nuovo Dpcm l’Italia si divide in 3 zone di rischio in base a precise valutazion­i

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