Sono i numeri che determinano le restrizioni
Da rivedere ogni due settimane, sono alla base delle restrizioni
Sono ventuno i parametri — saranno rivisti ogni due settimane — che determinano le restrizioni nelle diverse regioni d’Italia. Nel Dpcm l’Italia si divide in tre zone di rischio in base a precise valutazioni che vengono fatte sulla diffusione del virus.
«I numeri non mentono». Ma proprio «i numeri» sono l’iceberg contro cui si è schiantato l’ultimo Dpcm rinviato a domani. Parliamo dei ventuno indicatori su cui si basa l’assegnazione di un colore (e relative restrizioni) alle regioni, gli stessi che, al contrario, servirono, in primavera, per le riaperture. Quelli pesantemente contestati dal Veneto, non fosse altro che per l’esclusione dei tamponi rapidi dal conteggio sui tamponi effettuati.
Proviamo a spiegare di che si tratta. I 21 parametri che andranno valutati con cadenza quindicinale devono soddisfare tre requisiti: capacità di monitoraggio, capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti e risultati relativi a stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari. Partiamo dalla capacità di monitoraggio che comprende il numero di casi sintomatici notificati per mese in cui è indicata la data inizio sintomi sul totale di casi sintomatici notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo; il numero di casi notificati per mese con storia di ricovero in ospedale (in reparti diversi dalla Terapia intensiva) in cui è indicata la data di ricovero sul totale di casi con storia di ricovero in ospedale (in reparti diversi dalla Ti) notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo; il numero di casi notificati per mese con storia di trasferimento o ricovero in reparto di terapia intensiva (Ti) in cui è indicata la data di trasferimento o ricovero in Ti sul totale dei casi notificati. E, ancora, il numero di casi notificati per mese in cui è riportato il comune di domicilio o residenza sul totale.
Insomma, più il «grande fratello sanitario» sa dire dei cittadini contagiati più il sistema viene considerato affidabile. A questi primi punti se ne aggiungono due opzionali sul numero di checklist somministrate settimanalmente a strutture residenziali sociosanitarie e quante con almeno una criticità. C’è poi tutta la partita della capacità di accertamento diagnostico e gestione dei contatti: si parte naturalmente dalla percentuale di tamponi positivi escludendo per quanto possibile tutte le attività di screening e il «re-testing» degli stessi soggetti, complessivamente e per macro-setting (territoriale, Pronto soccorso, Ospedale, altro) per mese. Ma si chiede di indicare anche il tempo tra la data inizio dei sintomi e quella di diagnosi; il tempo tra la data di inizio dei sintomi e quella di isolamento (opzionale).
C’è anche una parte dedicata alle risorse umane nella lotta al virus: il numero, la tipologia delle figure professionali e il tempo per persona dedicato al contact-tracing. Ma anche chi e per quanto tempo si dedica ai prelievi e al monitoraggio dei contatti stretti e dei casi in quarantena e isolamento. Poi, ancora, i casi confermati di infezione con indagine epidemiologica.
Quanto «tengono», infine, i servizi sanitari? Allora si valutano il numero di casi riportati alla Protezione civile negli ultimi 14 giorni, l’Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata Iss; numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella Covid-net per settimana (opzionale); numero di casi per data di diagnosi e per data inizio sintomi riportati alla sorveglianza integrata Covid-19 per giorno; numero di nuovi focolai, di nuovi casi di infezione «non associati a catene di trasmissione note»; accessi al Pronto soccorso con sintomi riconducibili al Covid (opzionale) per chiudere con i due dati incontrovertibili: i letti in ospedale occupati sia in Ti che in area non critica.
E qui salta agli occhi il 12% di occupazione delle terapie intensive della Calabria, unica migliore del Veneto con il 16%, eppure la Calabria è finita in zona rossa.
Il sistema di calcolo Nel nuovo Dpcm l’Italia si divide in 3 zone di rischio in base a precise valutazioni