Gli studenti: noi sacrificati ma il vero caos è sui bus
Ragazzi critici: contagi sui trasporti
«Noi siamo sacrificati, sui bus è un caos». È il grido d’allarme dei ragazzi alle prese con didattica a distanza e traporti. «Li avvengono i contagi».
TRENTO Didattica a distanza? «Siamo una categoria sacrificabile: preferisco che mio padre vada al lavoro e che mio cugino piccolo vada a scuola». Una risposta secca e senza fronzoli, che sembra provenire da un membro del comitato tecnico scientifico. E invece più di uno studente, ieri mattina dopo l’uscita da scuola, ha motivato in questo modo la propria adesione al ritorno della cosiddetta «Dad» nelle scuole superiori. Le obiezioni non sono mancate, soprattutto dai loro professori, che sperano che il presidente Fugatti riesca a strappare quel 50% di scuola in presenza. «Il contagio avviene sui mezzi pubblici, non a scuola», osservano docenti e studenti contrari alle lezioni a distanza.
Ma a partire da venerdì, secondo quanto deciso dal governo nazionale, tutte le scuole superiori delle regioni e delle province classificate come «area gialla» dovranno reintrodurre la didattica a distanza al 100%. In Trentino si dirà addio alle lezioni in classe da lunedì, anche se il presidente Fugatti vorrebbe chiedere una deroga al governo per arrivare almeno al 50% di scuola in presenza: ossia due o tre giorni in classe e il resto da casa. «Ce lo auguriamo – dice nel cortile della scuola un’insegnante di italiano del Liceo scientifico «Da Vinci», Federica Piombo -. La didattica è quella in presenza, quella a distanza è solo un barlume».
Il problema, sia per i docenti che per i ragazzi, è altrove. «In questo momento ci sentiamo di fare la didattica a distanza perché gli insegnanti riuscirebbero comunque a fare lezione e noi non rischiamo di contagiarci perché sugli autobus urbani non si riesce a mantenere il distanziamento», spiegano fuori dal liceo due studentesse del primo anno, Camilla Dies e Sofia Torresani. E non sono le sole a pensarla così. «Credo che la scuola è una delle poche cose che se chiude funziona lo stesso, diversamente dalle attività economiche», considera per esempio uno studente del quinto anno dell’Istituto tecnico tecnologico «Buonarroti», Giacomo Demattè. È ancora più diretto un ragazzo del quarto anno del Da Vinci, Tommaso. «Siamo una catelutamente goria sacrificabile — sostiene —: preferisco che mio padre vada al lavoro e che mio cugino piccolo vada alle scuole elementari».
La ragione calcolatrice dice questo ma il cuore spesso spinge da un’altra parte. «La pancia mi dice che è una condizione didattica che vede la scuola perdere la sua anima come luogo in cui i corpi interagiscono, crescono e si fanno domande e come insegnante penso di perdere il 70% delle mie potenzialità di poter trasmettere qualcosa — argomenta Salvatore Brasile, insegnante di lettere del Da Vinci — Ma la ragione mi dice “tasi e tira”: noi insegnanti non dobbiamo perdere assol’occasione di stare vicino ai ragazzi e in questo momento di emergenza dobbiamo fare quello che si può». Alcune volte però i paletti della didattica a distanza sono davvero limitanti. «Fare latino e greco in didattica a distanza sarebbe come fare matematica senza lavagna — dicono Mariasole, Emi e Sarytha fuori al Liceo classico «Prati» — Non è sicuramente questo che farà diminuire i contagi, dal momento che il contagio avviene quando si esce il pomeriggio oppure si fa sport».
Il richiamo alla digitalizzazione, per qualcuno, disegna anche un paradosso. «Il digitale avrebbe potuto funzionare un secolo fa quando c’era l’insegnante che dettava e faceva studiare a memoria, ma è passato quel tempo e oggi abbiamo fatto passi avanti — puntualizza una professoressa di scienze naturali del Da Vinci — Con la didattica a distanza manca tutta una parte di acquisizione delle competenze, che significa massacrare la cultura e il diritto allo studio dei ragazzi. Spero che il presidente della Provincia ottenga questo 50% di scuola in presenza. Me lo auguro proprio di cuore».