Le due apocalissi
Cosa accadde ai 30mila trentini emigrati in Brasile, Argentina, Messico e Paraguay? Lo rivela il libro dello storico Grosselli «Ho viaggiato anch’io sulle loro orme»
Dopo il 1870 e fino al Secondo Dopoguerra dalla quasi totalità delle regioni italiane ci fu un gigantesco esodo di milioni di persone che imboccavano strade e rotte marine in cerca di migliori condizioni economiche. L’emigrazione italiana transoceanica cambiò così l’equilibrio sociale di molti Stati. A tutto ciò prese parte anche il Trentino con migliaia di emigrati nel Nord America, nel Messico, nelle pampas argentine, in Uruguay, Paraguay e Cile e, soprattutto, in Brasile.
Furono 30mila gli emigrati trentino-tirolesi, così come ha documentati Renzo Maria Grosselli, giornalista e storico dell’emigrazione italiana nel
suo nuovo libro, Le due apocalissi, gli ultimi. Ciò che rimane dei 30.000 trentino-tirolesi
partiti per il Brasile (Edizioni Curcu Genovese, 160 pagine, 18 euro). Legato ad un approccio di lavoro e ricerca sul campo, Grosselli «rimane folgorato dal Brasile e lì ritorna quando può per cercare il senso di tutto. E ripartire».
Oltre una trentina i titoli che ha dedicato all’emigrazione italiana e trentina in America latina, ma con Le due apocalissi, gli ultimi vuole in parte unire i suoi primi studi con queste ultime riflessioni.
«Il libro nasce da due momenti della mia vita di ricercatore e viaggiatore. Il primo fu il 1986 quando trascorsi molti mesi nello Stato del Paranà e 90 giorni nella casa di Aristides Gaio – spiega Renzo Maria Grosselli - . Da quella esperienza nacque il volume Dove cresce l’araucaria. Dal Primiero a Novo Tyrol. Il secondo momento si riferisce alla primavera del 2018 quando decisi di ripercorrere le tappe delle mie indagini storiografiche e antropologiche in Brasile».
In questa occasione cerca e trova – grazie alla rete di amicizie intessuta negli anni – sei coppie di anziani contadini trentino-brasiliani nelle località «cosiddette trentine» di Nova Trento, Bento Gonçalves, Piracicaba (San Paolo), Rio dos Cedros (Santa Catarina), Santa Teresa.
Con loro avvia lunghe conversazioni, anche sulla traccia di un «questionario aperto», e sono proprio queste particolareggiate interviste a riempire le pagine del libro. A introdurle un inquadramento storico e quella lontana registrazione del 1986 ad Aristides Gaio e a sua moglie Margarida, quando credeva che la memoria trentina in Brasile si stesse definitivamente spegnendo. Ma si sbagliava.
Le parole degli anziani espresse in una lingua complessa, quasi una koinè che mescola dialetti trentini di diverse vallate e parole trentinobrasiliane come portoghesi, dimostrano infatti che, benché da generazioni brasiliani, gli emigrati trentini conservano «comportamenti, valori e miti che molte volte sono provenienti dalla terra di origine degli avi: lingua, cucina, religiosità, ma anche architettura rurale e strumentistica agricola».
E la lingua, quale contenuto essenziale di una cultura, risulta sempre di grande aiuto per ricostruire l’identità delle comunità italiane dei primi decenni del Novecento, dove si parlava appunto el taliàn, in questo caso a maggioranza trentina. Ad esempio, Veneranda Berti Moser di Rio dos Cedros ricorda come fosse loro proibito parlare taliàn per le strade, pena essere arrestati o costretti a bere olio di benzina, ma nel suo paese, in quanto abbastanza isolato, il dialetto si riusciva a parlarlo di più che altrove.
Con queste interviste, Renzo Maria Grosselli riesce dunque a rispondere alle domande che si era posto: cosa rimane della vita dei nostri avi nel Brasile tropicale e cosa e come è cambiato? «Più difficile sarà invece mantenere questo processo anche nei prossimi decenni – conclude l’autore – perché vedrà immissioni massicce di usi, costumi e anche modi di parlare brasiliani e comunque globalizzati».