Cave di porfido e ‘ndrangheta, il Riesame conferma le accuse
Riesame, respinti anche i ricorsi di Alampi e Vozzo. Martedì si decide sul «boss» Macheda
Confermata, per tutti, la misura cautelare. Restano quindi le accuse per la «locale» della ‘ndrangheta legata la mondo del porfido. Pietro Denise, indicato dagli investigatori come il «custode delle armi»; Giuseppe Battaglia, ex assessore del Comune di Lona Lases e la moglie Giovanna Casagranda (lei è ai domiciliari) per il tribunale del riesame restano dove sono. Respinti, infatti, tutti i ricorsi di scarcerazione.
TRENTO Pietro Denise, indicato dagli investigatori come il «custode delle armi», è stato il primo a rivolgersi al Tribunale del Riesame cercando, attraverso il suo difensore Claudio Tasin, di scardinare l’impianto accusatorio della Procura. Poi è stata la volta di Giuseppe Battaglia, ex assessore del Comune di Lona Lases, e della moglie Giovanna Casagranda (lei è ai domiciliari), difesi dall’avvocato Filippo Fedrizzi, ma il collegio composto dai giudici Giorgio Flaim, Marco Tamburrino e Elena Farhat, ha respinto il ricorso della difesa e ha confermato la misura cautelare.
Insomma per i giudici non ci sono dubbi: la ‘ndrangheta è arrivata in Trentino e sarebbe riuscita a infiltrarsi proprio nel mondo del porfido, da tempo sotto la lente degli investigatori. La vasta operazione dei carabinieri del Ros di Trento che ha svelato una «locale trentina», affiliata alla cosca calabrese di Antonio «Nino» Serraino, aveva portato a metà ottobre a 19 arresti. Gli indagati hanno promesso battaglia e da qui è partito il fiume di ricorsi. Martedì prossimo sarà la volta del presunto boss, Innocenzio Macheda, per gli inquirenti protagonista di spicco dell’organizzazione. Il suo nome torna più volte anche nelle pagine del provvedimento della Procura di Reggio Calabria al fianco di quello della cosca Serraino, il gip di Trento Marco La Ganga nell’ordinanza lo definisce «un elemento di primario riferimento in Trentino del clan Serraino a cui tutti i sodali portano rispetto e manifestano deferenza».
Saranno i giudici a valutare le esigenze cautelari e i gravi indizi. Il Riesame ha confermato il quadro accusatorio anche per il commercialista romano ritenuto «l’organizzatore» della cellula nella capitale composta da Morello Domenico, Schina Alessandro e De Santis, nella quale «esercita la sua funzione di contabile procacciando le finanze alle società a loro riconducibili, con l’ausilio di prestanome e operazioni inesistenti». Grazie al suo ruolo sarebbe sempre lui a curare i contatti con il mondo della politica romana. Altra figura chiave, secondo i tre pm trentini Davide Ognibene, Maria Colpani e Licia Scagliarini, sarebbe quella di Domenico Morello, imprenditore del settore della logistica, in contatto con esponenti della «casa madre» a Cardeto e con i membri della locale trentina, ma anche «trait d’union — si legge negli atti — tra il sodalizio calabrese impiantato in Trentino e una ramificazione operante a Roma». L’uomo aveva presentato ricorso, ma poi ha rinunciato così come Costantino
Demetrio, «specializzato» nell’istruire gli affiliati alla riservatezza «per eludere i controlli di polizia», Maro Giuseppe Nania, considerato il «braccio operativo» della cosca e Pietro Battaglia, ai vertici dell’organizzazione insieme al fratello Giuseppe, difesi dagli avvocati Luca e Giorgio Pontalti e Alessandro Meregalli. Il Riesame dopo una breve camera di consiglio venerdì pomeriggio hanno sciolto la riserva confermando la custodia cautelare anche per Giovanni Alampi ritenuto «il braccio armato della cosca», in particolare della cellula romana, direttamente legato a Morello. Infine il collegio ha respinto anche il ricorso dell’avvocato Marco Stefenelli che rappresenta Vincenzo Vozzo presunto esecutore delle direttive del capo cosca, secondo l’accusa «non esitava ad assumere atteggiamenti mafiosi nei rapporti commerciali per raggiungere gli scopi associativi, anche solo per riscuotere un credito». La difesa ha contestato anche in gravi indizi minando l’impianto accusatorio, ma il Riesame ha tirato dritto confermando tutte le accuse.